“Cetrioli di mare”: stop della Procura ai traffici con l'Oriente. Arrestate tre persone

“Cetrioli di mare”: stop della Procura ai traffici con l'Oriente. Arrestate tre persone
di Nazareno DINOI
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Sabato 28 Maggio 2016, 06:31 - Ultimo aggiornamento: 10:51
Farà scuola in Italia l’inchiesta della Procura di Taranto che per la prima volta ha contestato a tre tarantini, presunti trafficanti di cetrioli di mare (Oloturie), il reato di inquinamento ambientale e disastro ambientale. Il pubblico ministero Mariano Buccoliero, ha riconosciuto, per la prima volta la forte capacità di disinquinamento attribuita alle Oloturie da un recente studio del Cnr. Gli studiosi dell’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero di Taranto, hanno dimostrato che questi molluschi messi a contatto con un refluo fognario ad elevata concentrazione batterica, sono in grado di accumulare e di digerire una considerevole quantità dei microrganismi, anche patogeni, presenti nello stesso refluo.
Le indagini, durate un anno, si sono concluse con un’operazione congiunta di Polizia e militari della sezione navale della Finanza.
 

Gli investigatori hanno dato esecuzione ad un provvedimento di sequestro preventivo d’urgenza di dieci tonnellate e mezzo di prodotto, per metà ancora vivo, e di due capannoni utilizzati per la lavorazione del prodotto, situati nel rione Tamburi, zona Porta Napoli, a Taranto. Tre persone, marito e moglie e un altro parente della coppia sono stati denunciati. Per il mercato clandestino, invece, i cetrioli marini hanno un significato essenzialmente remunerativo. Molto ricercate in alcuni paesi asiatici, soprattutto Cina e Giappone, dove vengono impiegate nella cosmesi e nella cucina orientale, le oloturie opportunamente lavorate hanno un valore che oscilla tra i 200 e i 600 euro al chilo.
Per un vuoto legislativo italiano, la loro pesca nei nostri mari non è vietata. Per questo è stato sempre problematico per gli investigatori chiudere il cerchio intorno ai trafficanti che tenevano d’occhio da mesi. Tutto è partito più di un anno fa grazie all’intuito investigativo delle fiamme gialle della sezione navale guidata dal capitano Vincenzo Casaregola. I militari si erano incuriositi della presenza sempre più massiccia di questi molluschi negli ambienti controllati dai pescatori di frodo di ricci e datteri di mare. Dopo il sequestro del primo deposito clandestino avvenuto un anno fa (di proprietà di uno degli indagati odierni), i militari hanno studiato il fenomeno portando alla luce un ricchissimo business che aveva imposto una svolta al mercato nero dei ricci e di altri prodotti ittici protetti. «Il giro d’affari derivante dalla commercializzazione delle oloturie è impressionante», è stato detto ieri in conferenza stampa. «Si consideri che, se un pescatore guadagna circa 0,80 centesimi di euro per ogni chilogrammo di oloturie raccolte, gli addetti alla pulizia del prodotto guadagnano dai 30 ai 50 euro al giorno». 
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