Dai Riva alla sfida indiana: tecnologia e tutela dell’ambiente

Dai Riva alla sfida indiana: tecnologia e tutela dell’ambiente
di Alessio PIGNATELLI
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Sabato 27 Maggio 2017, 20:30

La lunga e tortuosa vicenda per l’acquisizione di Ilva arriva allo snodo: nella graduatoria consegnata dai commissari straordinari di Ilva Enrico Laghi, Piero Gnudi e Corrado Carrubba la cordata Am Investco Italy è risultata vincitrice. La svolta arriva, non a caso, due giorni dopo la firma da parte di Adriano Riva della transazione per il rientro in Italia da un conto bancario in Svizzera di un miliardo e 300 milioni di euro: somma sequestrata nell’inchiesta milanese da utilizzare in gran parte (1,1 miliardi) per la bonifica dello stabilimento di Taranto e più limitatamente (altri 230 milioni) per “supportare la gestione corrente di Ilva e le iniziative assunte ai fini della prosecuzione dell’attività d’impresa”.
Si sta quindi per chiudere un derby indiano che ha visto contrapporsi i big player ArcelorMittal e Jindal South West Steel. Due infatti le cordate che si sono sfidate per gli asset dell’Ilva: Am Investco Italy, guidata da ArcelorMittal in tandem con Marcegaglia e sostenuta da Banca Intesa SanPaolo pronta a mettere a disposizione sino a 5 miliardi di euro di linee di credito: AcciaItalia, capofila il gruppo indiano Jindal, con Cassa Depositi e Prestiti, la finanziaria Delfin di Leonardo Del Vecchio e il cremonese Arvedi.
Am Investco Italy annovera quindi Marcegaglia (15%) e soprattutto ArcelorMittal, la compagnia che produce la maggiore quantità di acciaio grezzo in tutto il mondo: 97,1 milioni di tonnellate secondo la classifica ufficiale di Word Steel Association riferita al 2015 e 83,9 milioni di tonnellate prodotte nel 2016. È presente in sessanta paesi con 209mila dipendenti e ha un impatto industriale in 19 di questi. Il top management ha sede a Lussemburgo e Londra. È quotata nelle borse di Amsterdam, Lussemburgo, Madrid, New York e Parigi e ha una capitalizzazione di mercato di circa 23 miliardi di euro. L’interesse di ArcelorMittal per Ilva non è di certo recente. Già nel precedente tentativo di privatizzare l’Ilva prima dell’attuale commissariamento governativo, la compagnia provò l’affondo. Perché è così appetibile il siderurgico italiano? Perché è una fetta produttiva strategica per gli equilibri internazionali, integrerebbe l’attuale portafoglio prodotti d’acciaio in Europa, rafforzerebbe la presenza sul mercato italiano e costituirebbe un asset interessante.
L’approccio per la produzione di Ilva, in ottemperanza a quanto richiesto dall’Aia, è: 6 milioni di tonnellate nei 3 altiforni di Ilva e fornitura di 4 milioni di tonnellate addizionali di bramme per l’attività di finitura: l’obiettivo a lungo termine è di arrivare a 10 milioni di tonnellate di cui 8 dall’area a caldo. Si prevede “l’impiego di nuove tecnologie a bassa emissione di anidride carbonica, tra cui la cattura e l’utilizzo del carbonio” e il riavvio di Afo5 dopo il rifacimento del rivestimento interno. L’offerta economica per l’acquisizione degli asset equivarrebbe a circa 1,8 miliardi di euro mentre la previsione è di investire 2,3 miliardi di euro oltre al prezzo di acquisto: nel comparto ambientale spese superiori a 1,1 miliardi di euro, incluse le spese per bonifiche, mentre 1,2 miliardi sono pronti per l’aspetto industriale. L’ambizione per Ilva è di inserirla all’interno dei mercati ad alto valore aggiunto, come l’automotive.
Dall’altra parte AcciaItalia con il gruppo indiano Jsw Steel della famiglia Jindal (al 35%) insieme a Cassa depositi e prestiti (27,5%), Leonardo del Vecchio (27,5%) e Giovanni Arvedi (10%): questa cordata avrebbe offerto 1,2 miliardi. Sul tavolo dei commissari Ilva, AcciaItalia proponeva 3 miliardi di euro di investimenti (1 per l’ambiente, 1 di investimenti industriali e 1 in innovazione) e puntava a produrre tra i 10 e i 12 milioni di tonnellate di acciaio, in parte prodotti col gas. Secondo la visione di Sajjan Jindal, chairman di Jsw Group (secondo la classifica di Word Steel Association, si colloca al trentesimo posto per il 2015 con una produzione di 12,4 milioni di tonnellate di acciaio), Ilva poteva arrivare «a una produzione compresa tra i 10,5 e i 12 milioni di tonnellate annue ma utilizzando la medesima quantità di carbone utilizzata oggi o inferiore. Il carbone sarà rimpiazzato dal gas naturale. Ciò potrà essere fatto in modo molto efficiente e potrà diventare il nuovo standard per la produzione siderurgica europea realizzando acciaio con tecnologia “green”». In sostanza agli attuali livelli produttivi con il carbone - la produzione Ilva è risalita da 4,7 a 5,8 milioni di tonnellate - si sarebbero aggiunti i restanti con il gas.
La decisione finale, quindi, spetterà al Mise che ha già convocato per martedì a mezzogiorno i segretari generali di Fim, Fiom e Uilm, Ugl Metalmeccanici, Cgil, Cisl e Uil per “comunicare lo stato di attuazione della procedura relativa alla cessione degli impianti”. Dopo la valutazione finale di competenza del ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda per il completamento del processo di aggiudicazione, ci sarà un mese di confronto sul piano ambientale presentato da Am Investco per verificare se rispetta o meno le indicazioni del ministero dell’Ambiente: sarà quest’ultimo poi a emettere il proprio decreto.
Una procedura molto complessa per la portata dell’operazione che deve tenere conto anche delle indicazioni di Bruxelles. Ieri un portavoce della Direzione Concorrenza della Commissione Europea ha precisato che “il processo di vendita dell’Ilva è gestito dalle autorità italiane che ne hanno la responsabilità” ma è pur vero che sulle scelte finali pendono le decisioni dell’Antitrust europeo. Il 10 aprile in una lettera alle autorità italiane si ricordavano le “regole della procedura per gli aiuti di Stato” e “i rischi correlati ai due offerenti”, tra cui anche “quelli di natura regolatoria”. Da qui era nata una richiesta tecnica dei commissari Ilva alle due cordate affinché si prorogassero le validità delle offerte. Tornando al punto principale, di certo non avrebbe rischiato alcunché AcciaItalia in quanto le quote a livello europeo non avrebbero sforato il tetto.
Certamente più imponenti le quote di ArcelorMittal che però si è detta sempre molto tranquilla rispondendo anche direttamente alle accuse mosse dal governatore Michele Emiliano.

In una recente nota ufficiale, il colosso dell’acciaio precisò che “non vi sarà alcuna problematica relativa all’Antitrust europeo qualora dovessimo acquistare il controllo di Ilva. La cifra del 39% di quota di mercato di ArcelorMittal in Europa non è corretta. Infatti, come da dati Eurofer, la quota di mercato di ArcelorMittal nei laminati a caldo è del 25% e di Ilva del 3%. Mentre quella relativa ai laminati a freddo è per ArcelorMittal del 25% e per Ilva del 6%. Come è evidente ambedue le quote sono ben lontane dal 39% menzionato non correttamente”.

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