Lorenzo morì durante il servizio di leva. Il padre: «Da 22 anni aspetto la verità»

Lorenzo morì durante il servizio di leva. Il padre: «Da 22 anni aspetto la verità»
di Nazareno DINOI
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Giovedì 9 Marzo 2017, 05:31 - Ultimo aggiornamento: 14:04
«La nostra vita si è fermata il 22 marzo del 1995, ogni notte mi sveglio con la scena degli ultimi istanti di vita di mio figlio che sbatte la testa sul cuscino e chiede aiuto». 
Francesco Miccoli, di Fragagnano, è un papà distrutto. Ventidue anni fa la malasorte gli ha strappato il suo primogenito Lorenzo, militare di leva che allora era d’obbligo. Ad ucciderlo, sostiene la magistratura a cui si è rivolto e dalla quale non ha avuto la giustizia che sperava, è stata una forma virale che gli ha consumato il fegato in 24 giorni. 
Per lui, che da 22 anni sopravvive con questa convinzione, il suo Lorenzo è stato vittima di un farmaco iniettato in vena quando era ricoverato nel reparto di ematologia dell’ospedale di Pesaro dove era stato ricoverato per una banale mononucleosi. Un reparto di cui si sono occupati anche i tribunali per le diverse morti sospette avvenute proprio nel periodo in cui morì Lorenzo. «Per nove di quelle morti il tribunale di Pesaro ha riconosciuto le responsabilità dei medici stabilendo anche un risarcimento alle famiglie di un miliardo di vecchie lire ciascuno. Per la morte del mio Lorenzo, invece, stiamo pagando solo noi che da ventidue anni attendiamo venga fatta giustizia».
 
Per questo, allo scadere del ventiduesimo anniversario della morte del figlio, l’ex imprenditore edile, rovinato dai debiti e dagli usurai a cui si è dovuto rivolgere per affrontare venti anni di processi, tutti persi, ha scritto al pm Valeria Cigliola della Procura di Pesaro che ha condotto l’inchiesta a carico di 5 medici finiti sotto processo perché ritenuti responsabili della morte del militare di leva e poi assolti dalla Cassazione. 
Un anno fa, invece, si era rivolto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E proprio grazie all’intervento del presidente alla famiglia è stato concesso un vitalizio di 500 euro al mese.
Nella lettera inviata alla procura, invece, Francesco Miccoli chiede un nuovo processo. «Non mi arrendo – scrive al magistrato - perché sono certo che il nostro Lorenzo è stato ucciso come le altre 67 morti nel lontano 1995 che non sono state considerate, a differenza delle ultime 9 riconosciute come vittime e risarcite dal Tribunale». 
La triste vicenda fu oggetto di cronaca nazionale per i risvolti del giallo di cui si contornò quel processo. Uno degli imputati, l’allora primario del reparto, il noto ematologo Guido Lucarelli, padre dell’altrettanto conosciuto giornalista, Carlo, lanciò delle accuse nei confronti di qualcuno, di cui non fece mai nome, che volutamente avrebbe iniettato una sostanza letale sui suoi pazienti per gettare discredito sul suo lavoro. 
«So chi è ma non posso dire il nome perché non ho le prove», aveva dichiarato il professore Lucarelli in aula. Il papà del militare morto, invece, è convinto di saperlo ed è da ventidue anni che, a differenza del primario, indica a tutti le sue generalità. Lo ha scritto anche nella lettera inviata il 2 marzo al pm della procura di Pesaro. 
«Tutti sanno che è lui l’untore che ammazzava i malati tra cui mio figlio», insiste con convinzione Francesco che racconto un episodio per lui emblematico. «Qualche anno fa ho fatto anche tappezzare i muri di Pesaro con la sua foto e con l’accusa di essere il killer di mio figlio; se fosse stato innocente mi avrebbe querelato e invece non ha fatto niente». 
Altri manifesti scandiscono il dolore della famiglia Miccoli, padre, madre e altri tre figli tutti maggiorenni e sposati, quelli del 2 marzo di ogni anno, da ventidue anni, che compaiono puntuali ogni volta a Fragagnano. 
«Voglio un aiuto, la mia famiglia ha bisogno di aiuto, la mia azienda è andata a rotoli con me e con la morte del nostro Lorenzo», afferma il 63enne che dall’aspetto ne dimostra molti di più. 
«Questa nostra battaglie c’è costata 350 milioni di vecchie lire ed ora non abbiamo più i soldi per pagare altri periti o avvocati, se c’è qualche legale disposto a sostenerci confidando nel gratuito patrocinio ci darebbe sollievo», conclude l’ex imprenditore edile quasi vergognandosi del suo stato. 
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