Agguato mortale in strada: 30 anni anche in Appello ai due fratelli killer

Agguato mortale in strada: 30 anni anche in Appello ai due fratelli killer
3 Minuti di Lettura
Giovedì 28 Aprile 2016, 06:36 - Ultimo aggiornamento: 20:49
È stata confermata ieri, in Corte d’assise d’appello, la sentenza di condanna dell’omicidio di Antonio Santagato, ferito mortalmente a colpi di pistola in pieno centro cittadino. Per l’assassinio erano imputati, come è noto, Giovanni e Salvatore Pascalicchio, che erano stati condannati in abbreviato a 30 anni di reclusione dal gup del tribunale di Taranto. In assise d’appello i due imputati puntavano a una diversa valutazione sia della gravità del fatto che dei ruoli svolti dagli imputati, difesi dagli avvocati Luigi Esposito e Salvatore Maggio.
Alla fine, però, la Corte di secondo grado ha ritenuto congrua la sentenza emessa dal giudice dell’udienza preliminare ed ha confermato pienamente il dispositivo.
 
In primo grado, come si ricorderà, era caduta l’aggravante della premeditazione e per i due fratelli accusati dell’omicidio di Antonio Santagato era scattata la condanna a 30 anni ciascuno di reclusione. L’ergastolo, come evidenziato all’epoca dai legali degli imputati, sarebbe stato un eccesso di punizione nella «lettura» di una vicenda in cui la vittima, secondo la prospettazione difensiva, avrebbe esercitato pressioni e minacce tali da indurre Salvatore Pascalicchio a reagire.
Nella prospettazione della difesa, peraltro, così come emerso dalle indicazioni fornite dallo stesso imputato, avrebbe avuto un ruolo solo Salvatore Pascalicchio, dal momento che il fratello Giovanni sarebbe stato inconsapevole del fatto che il congiunto fosse armato.
Sul punto, però, il giudice d’udienza aveva aderito alla ricostruzione dell’accusa, secondo cui entrambi i fratelli erano d’accordo nel punire la vittima. E si erano mossi in questa direzione per essere sicuri di poter fronteggiare l’eventuale reazione della vittima.
Anche in secondo grado, il pm ha ricostruito il movente e le fasi drammatiche dell’omicidio che venne parzialmente ripreso dalle telecamere di sicurezza di un tabaccaio. Tra Santagato e Salvatore Pascalicchio, il più giovane dei due imputati alla sbarra, non scorreva buon sangue.
Il vecchio boss, il cui passato era legato al clan dei fratelli Modeo, aveva preso di punta quel ragazzo che si guadagnava da vivere vendendo le cozze in strada.
Secondo l’accusa, non tollerava la presenza di quel giovane all’angolo di casa, con il suo carretto di mitili.
Santagato lo aveva più volte ripreso. Voleva che se andasse dalla zona, che lui riteneva essere il suo territorio. Quel dissidio, a parere del pubblico ministero, avrebbe armato la mano dei due giovani che si erano accordati per “eliminare” Santagato.
Per l’antimafia, l’omicidio del maggio del 2014 in cui perse la vita il vecchio boss sarebbe stato ordinato da Nicola De Vitis. Per il dottor Coccioli, che ha fato valere davanti al gup di Lecce nell’ambito del processo “Alias” questa tesi, l’azione dei fratelli Giovanni e Salvatore Pascalicchio, sarebbe stata ordinata dallo stesso De Vitis, zio dei due fratelli. Ciò sarebbe emerso da alcune intercettazioni agganciate agli atti del procedimento aperto dalla distrettuale antimafia.
In “Alias”, per la cronaca, la posizione del presunto mandate è stata definita con la condanna di De Vitis a 20 anni di reclusione, sul presupposto, appunto, che lo zio dei due uomini avesse dato l’ok alla eliminazione fisica dello scomodo rivale, le cui condotte erano state ritenute non più “sopportabili” dai due imputati.
© RIPRODUZIONE RISERVATA