Uccise un finto rapinatore, assolto il maresciallo dei carabinieri

Uccise un finto rapinatore, assolto il maresciallo dei carabinieri
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Mercoledì 1 Febbraio 2017, 07:44 - Ultimo aggiornamento: 15:46
Assolto in appello il maresciallo dell’Arma dei carabinieri che nella notte fra il 28 e il 29 agosto 2011 sparò contro un giovane che finse una rapina ai danni di alcuni amici.
Con la formula «il fatto non costituisce reato», infatti, la Corte presieduta dal dottor Vito Fanizzi), ha assolto il sottufficiale dei carabinieri, in accoglimento del ricorso presentato dall’avvocato Mario Malcangi.
Il militare, per la cronaca, il 6 aprile del 2014 fu condannato a due anni e due mesi di reclusione per la morte del 19enne William Perrone.
Al militare era contestato l’eccesso colposo di legittima difesa putativa e alla sua condanna giunta in primo grado, su sentenza pronunciata con l’abbreviato dal gip dottor Martino Rosati, si arrivò malgrado la pubblica accusa ne avesse chiesto l’assoluzione.
 
Come si ricorderà, in quella tragica notte, William Perrone voleva fare uno scherzo ad una coppia di amici che, di ritorno dalla discoteca, sarebbe passata proprio di lì in quella zona, sulla provinciale 15 per Castellaneta, alla periferia di Laterza.
Tuttavia, il carabiniere, intervendo in zona, non sapeva cosa stesse passando per la testa a William e al suo gruppo di amici.

Lo snodo della vicenda risale all’anno precedente, allorchè l’allora gip del tribunale dottoressa Patrizia Todisco aveva imposto alla procura l’imputazione coatta.
I legali della famiglia dello sfortunato giovane, infatti, si erano opposti alla richiesta di archiviazione formulata in favore del carabiniere dal pubblico ministero Filomena Di Tursio.
«Legittima difesa putativa» nella condotta del militare dell’Arma: così aveva ritenuto l’accusa pubblica, relativamente alla posizione del militare, dopo l’esame di tutti gli atti e delle testimonianze che avevano corredato il procedimento.

Così, il pm aveva richiesto l’archiviazione. La stessa formulata dal pm che esercitò inizialmente l’azione penale indagando il carabiniere per il reato di omicidio colposo.
«Nessuna legittima difesa», avevano sostenuto i legali della famiglia Perrone che, con in testa il capofamiglia Vito Mario, ritenevano che l’azione del carabiniere non fosse stata del tutto legittima.
«Tutt’al più», avevano sostenuto i legali della parte civile, «si deve parlare di eccesso colposo in legittima difesa putativa». Un reato, questo, che si configura allorchè ad un’azione corrisponde una reazione spropositata.

Quella del carabiniere che agì nella notte sulla strada di Selva San Vito «spropositata lo fu decisamente», avevano affermato i legali, dal momento che pur se il diciannovenne fu visto con una pistola in mano non aveva sparato alcun colpo: e non avrebbe potuto farlo, sia perchè stava dando vita ad uno scherzo, sia perchè l’arma impugnata era giocattolo.
L’imputazione coatta si trasformò in un giudizio e, poi, nella condanna.
In appello, però, la tesi dell’avvocato Malcangi è stata ritenuta plausibile: all’aggressione armata, infatti, i militari non potevano che reagire come fecero. Purtroppo per lo sfortunato giovane.
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