Il terminal bus si sposta a Cimino, il bar del porto verso la chiusura

Il terminal bus si sposta a Cimino, il bar del porto verso la chiusura
di Francesco TANZARELLA
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Sabato 22 Aprile 2017, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 12:04
Tregua del primo pomeriggio, al terminal di via Napoli.
Tra 10 giorni, la desolazione della “controra” diventerà un’abitudine: con il trasferimento del traffico regionale e nazionale al nuovo “hub” di parco Cimino, infatti, rimarranno solo i bus dell’Amat e qualche mezzo delle linee provinciali a sferragliare a due passi dal ponte di pietra. Una “botta” che Agostino Di Molfetta, titolare del “Bar del Tempo” che è lì da circa 20 anni, stenta a metabolizzare: «Finirò per chiudere – le sue parole amare – e dovrò mandare a casa anche i miei tre dipendenti».
È stato il primo a sollevare la voce contro il trasferimento: ovvio, è quello che ci rimette di più. Ma quando ieri pomeriggio ci ha accolto nel suo piccolo, ma funzionale, esercizio commerciale, è andato ben oltre la questione economica. «Senza il terminal – ha spiegato – questa zona diventerà sempre più marginale. A vantaggio di tutta l’area nei dintorni dell’Auchan (che dista 500 metri da parco Cimino. Ndr), che non ha certo bisogno di incentivi».
Di Molfetta, 17 anni fa, investì una cospicua somma di denaro per realizzare in via Napoli il bar, la sala d’attesa, i bagni pubblici (con l’annesso ufficio dell’Amat) e la struttura che oggi ospita una biglietteria: «Fu la volontà di Enzo Manco (presidente Amat dell’epoca. Ndr) a favorire la realizzazione del terminal. Il progetto iniziale prevedeva lo spostamento a parco Cimino solo delle linee dirette verso la zona orientale della provincia, lasciando il resto qui».
 
Le tratte nazionali, infatti, arrivano tutte dalla statale 7 che sovrasta via Napoli: andare dall’altra parte della città, quindi, per le compagnie significa prevedere almeno 25 chilometri in più, tra andata e ritorno. «Questo è un grosso problema – ha aggiunto Di Molfetta – perché farà lievitare i costi dei biglietti. Peraltro, so per certo che Marozzi ha presentato un esposto contro il trasferimento, perché non vuole andare a parco Cimino».
Indubbiamente, la chiusura del bar è la prima preoccupazione del signor Agostino. Tant’è che aveva proposto di trasferire la sua attività a parco Cimino, ricevendo un sonoro due di picche: «I viaggiatori che affrontano tratte nazionali hanno esigenze differenti – ha detto – non sono come gli utenti delle linee cittadine e provinciali. Hanno bisogno di un riferimento, di un posto dove ripararsi adeguatamente, anche fino a sera inoltrata. Qui partono pullman fino alle 23, e noi non chiudiamo fino a quando non sono andati via tutti. Queste esigenze si ripresenteranno anche a Cimino, ma non ci sarà nessuno a fare quel che abbiamo fatto noi». Perché Di Molfetta, tra le altre cose, rivendica anche di aver reso via Napoli più sicura: «Abbiamo lottato contro borseggiatori e spacciatori, grazie all’aiuto delle forze dell’ordine, e oggi chiunque passi da qui può affermare di sentirsi tranquillo».
Come detto, però, la sua esperienza al terminal gli ha permesso di intravedere nel trasferimento tante altre potenzialità negative: «Se qualcuno perde il treno, per esempio, dovrà spendere soldi per un taxi che lo porti a Cimino, viceversa se si perde il pullman. Eppure in nessuna città le due infrastrutture distano quasi 15 chilometri l’una dall’altra». Per non parlare dell’indotto: «I gestori degli alberghi di città vecchia, dove dormivano molti autisti – ha aggiunto Di Molfetta – non hanno preso bene la notizia».
Non l’hanno presa bene nemmeno i viaggiatori, a dirla tutta, che nel bar oltre al caffè prendono respiro per uno sfogo. «Parco Cimino è decentrato – ha dichiarato un avventore di passaggio – e poi dovremo stravolgere i nostri orari per raggiungerlo con i mezzi dell’Amat». Un disagio parecchio avvertito dai militari, a sentire Di Molfetta che in questi giorni ha raccolto parecchie lamentele.
La speranza sta tutta nel nuovo parcheggio di scambio in via della Croce, alle spalle della stazione ferroviaria. Di Molfetta confida nel fatto che almeno lì troverà “ospitalità”: «Nel frattempo l’unica prospettiva che ho è chiudere – ha concluso amaramente – perché il movimento assicurato dalle linee cittadine e provinciali non può garantirmi la sopravvivenza. Sa qual è il vero paradosso, però? Che per ridurre le emissioni in via Napoli finiremo per inquinare l’unico polmone verde di Taranto». 
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