Alluvione con 4 morti: indagate 30 persone

Alluvione con 4 morti: indagate 30 persone
di Lino CAMPICELLI
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Mercoledì 28 Settembre 2016, 08:14 - Ultimo aggiornamento: 14:28
Negligenze, imperizie e tanta superficialità. Rappresentano la sintesi delle assenze imbarazzanti che avrebbero caratterizzato la gestione del territorio provinciale nel versante occidentale, che nell’ottobre 2013, complice un’alluvione di vastissime proporzioni e condizioni metereologiche devastanti, causò quattro morti nell’area di Ginosa, buona parte della quale fu inghiottita da acqua e fango.
E i quattro morti, che costituirono un prezzo altissimo pagato a causa di mancati interventi strutturali rilevati dalla magistratura, si aggiunsero ai gravissimi danni subiti da numerose comunità joniche: Ginosa e Palagiano su tutte, ma anche Laterza e Castellaneta.
 
Dopo due anni di indagini, una super perizia e la raffica di accertamenti svolta dai carabinieri attraverso il confronto fra gli atti documentali negli Enti e le verifiche sul posto, la procura della Repubblica ha presentato il conto: trenta persone indagate e gravi inadempienze imputate ai rappresentanti dell’Autorità di Bacino Basilicata, della Provincia di Taranto, del Comune di Ginosa attraverso la sua componente tecnica, del Parco naturale delle Gravine e dell’Acquedotto Pugliese.
Sono stati il procuratore della Repubblica dottor Carlo Maria Capristo e il sostituto procuratore dottoressa Ida Perrone, titolare dell’indagine immediatamente aperta sui disastri provocati dall’alluvione, a fare chiarezza su una lunga serie di accertamenti, acquisizioni documentali, istruttorie e deposizioni, resi necessari dalla gravità dell’alluvione.

Alluvione che determinò, ma non ne fu la causa primaria, i decessi di Rosa Pignalosa, Giuseppe Bari, Chiara Moramarco e Pino Bianculli, travolti nel territorio di Ginosa dall’esondazione di alcuni torrenti mentre si trovavano a bordo delle rispettive autovetture e nel pieno del maltempo.
Oltre che alle indagini dei carabinieri, l’inchiesta della procura deve molto alla competenza tecnica del professor Luigi D’Alpaos, esperto dell’Università di Padova, che fu nominato dalla magistratura jonica per capire se nei disastri provocati dall’alluvione, in quella importante fetta di territorio jonico, vi fosse stata una compartecipazione, soprattutto di natura omissiva, del fattore umano.

Depositando il suo lavoro, il professor D’Alpaos aveva successivamente «spiegato» come e in che termini avessero inciso, per trascuratezza e inadempienze, quei mancati interventi rilevati dal professionista nel corso dei sopralluoghi (l’ultimo nell’agosto del 2014) e dallo studio della copiosa documentazione. Una documentazione che avrebbe impegnato numerosi enti e organismi a fare interventi strutturali e manutenzioni che, purtroppo, sarebbero stati del tutto assenti.
Secondo quanto sarebbe emerso dalla relazione oggetto di indagine, il professionista avrebbe individuato carenze e lacune su cui si erano poi concentrati i carabinieri, che avevano effettuando controlli anche di natura documentale su delega del magistrato titolare dell’inchiesta.
Peraltro, ma l’annotazione è del tutto scontata, le verifiche svolte avrebbero indotto il professor D’Alpaos a esprimersi in termini negativi sulla gestione del territorio da parte di chi aveva (ed ha sempre, in generale) la competenza di tutelare la salute pubblica.
Nonostante le valutazioni dell’esperto abbiano confermato che sui territori attraversati dal Bradano e dal fiume Lato si siano abbattute calamità eccezionali, non estranei ai disastri e alla morte di vittime innocenti, il docente avrebbe rilevato l’assenza di lavori primari, indispensabili in un’area che presenta un tessuto idrogeologico «a rischio».

Tuttavia, proprio la componente «a rischio» dell’area, che qualunque esperto avrebbe dovuto conoscere, sarebbe stata colposamente trascurata nella elaborazione dei piani finalizzati alla prevenzione.
Inondazione, disastro colposo, omicidio colposo plurimo con violazione delle norme per la prevenzione: queste le contestazioni principali di cui gli indagati, a gruppi e a seconda delle specifiche competenze, sono chiamati a rispondere.
In questi giorni, la procura ha fatto partire il canonico avviso di conclusione delle indagini che racchiude, appunto, due anni di intense verifiche svolte per capire perchè il territorio del versante occidentale della provincia sia stato attraversato come un burro dall’acqua che ha devastato gli argini dei torrenti, sbriciolando il manto stradale e numerose abitazioni.
Per tutti gli indagati c’è ora la possibilità di richiedere l’interrogatorio, di presentarsi al pm o alla polizia giudiziaria per essere sentito, di predisporre memorie tecniche e difensive, attraverso i rispettivi consulenti e legali. E in ogni caso, l’inchiesta, proprio per le negligenze e le omissioni contestate, farà molto rumore.
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