Stipendi d'oro, accolta la richiesta del Comune: sequestro di beni fino a 50 milioni di euro

Stipendi d'oro, accolta la richiesta del Comune: sequestro di beni fino a 50 milioni di euro
di Lino CAMPICELLI
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Venerdì 27 Novembre 2015, 09:54
«C’è la pretesa restitutoria e risarcitoria del Comune nei confronti degli imputati coinvolti» nel processo degli “stipendi d’oro” nel Comune di Taranto. Pertanto, alla luce della richiesta avanzata dallo stesso Ente, la Corte d’appello di Taranto ha disposto il sequestro conservativo dei beni nei confronti degli imputati a carico dei quali era stata confermata, dalla stessa Corte d’appello del capoluogo jonico, la sentenza di primo grado che fissava le statuizioni civili.

Si tratta di dieci imputati, a carico dei quali era già scattato il provvedimento originario di sequestro a fini di confisca, all’epoca in cui l’inchiesta diretta dal sostituto procuratore della Repubblica dottoressa Ida Perrone si tradusse in una raffica di provvedimenti cautelari di natura diversa.

In ogni caso, con il provvedimento del 10 novembre scorso, la Corte d’appello ha fissato il limite della confisca in cinquanta milioni di euro, per i beni ritenuti nella disponibilità di Luigi Casimiro Lubelli, Nicola Blasi, Giuseppe Cuccaro, Orazio Massafra, Luciano Mezzacapo, Luciana Panzetta, Carlo Patella, Cataldo Ricchiuti, Vito Marseglia e Francesco Grassi, tutti dirigenti dell’ente comunale che, a suo tempo, avrebbero beneficiato in busta paga, in un periodo compreso fra il 2001 e il 2003, di emolumenti supplementari attraverso il meccanismo dei “progetti-obiettivo”.

Contro il sequestro conservativo dei beni c’è già la corsa davanti al tribunale del Riesame, che se ne occuperò nei prossimi giorni per stabilire la legittimità e la congruità del provvedimento firmato dal presidente Vito Fanizzi (consigliere estensore giudice Margherita Grippo, consigliere giudice Michele Campanale).

L’8 ottobre scorso, come si ricorderà, il caso giudiziario era stato definitivamente chiuso per la prescrizione dei reati. Lo aveva stabilito la Corte d’appello presieduta dal dottor Andrea Tronci, che aveva stabilito come quelle condotte attraverso cui fu inebitamente incamerato denaro aggiuntivo dai dipendenti avessero integrato i reato di truffa e non di peculato.

Alla luce di questo, la Corte aveva dichiarato che il reato era prescritto già sin dal primo grado di giudizio; la prescrizione aveva mandato in archivio anche il reato di associazione per delinquere. Con la prescrizione generale, per effetto della configurazione del reato di truffa e non di peculato, la Corte aveva accolto la tesi del collegio di difesa, composto fra gli altri dagli avvocati Fabio Alabrese, Egidio Albanese, Luca Balistreri, Raffaele Errico, Rocco Maggi, Francesco Nevoli, Francesco Paone, Michele Rossetti, Christian Spinelli, Domenico Rana.

Avevano così beneficiato del dispositivo di sentenza tutti gli imputati. Nella circostanza, la Corte aveva revocato la confisca per equivalente disposta a suo tempo dalla magistratura tarantina e le statuizioni civili. In quest’ultimo caso, però, erano rimaste in vigore solo quelle contestate a carico dei presunti promotori, limitatamente al risarcimento del danno.

Di qui la richiesta di sequestro dei beni di dieci dei 34 imputati, avanzata dall’avvocato Pasquale Annicchiarico, parte civile per il Comune di Taranto, che la Corte ha appunto accolto con il provvedimento del 10 novembre.

A suo tempo, per il Tribunale, nel Comune di Taranto sarebbe stato eseguito lavoro ordinario, contrabbandato per attività suppletiva attraverso i progetti-obiettivo. Tutto ciò avrebbe fatto lievitare a dismisura i conti dell’Ente che per questa ragione riconobbe ai suoi dipendenti una serie di emolumenti aggiuntivi, che trasformarono il normale monte-stipendi. In quel periodo, secondo la tesi accusatoria, parte dei comunali che rientrò in quel meccanismo beneficiò per mesi di stipendi definiti «d’oro», acquisendo indebitamente denaro per circa 3 milioni di euro.