«Affari sporchi», sequestrati beni per 320mila euro

«Affari sporchi», sequestrati beni per 320mila euro
di Nazareno DINOI
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Mercoledì 31 Agosto 2016, 09:42 - Ultimo aggiornamento: 2 Settembre, 17:25

La seconda sezione penale del Tribunale di Taranto ha disposto il sequestro dei beni, per un valore di circa 320mila euro, appartenuti alla famiglia Tondo di Manduria facenti parte, secondo la direzione investigativa antimafia che l’ha proposto, di un’organizzazione criminale operante nel versante orientale della provincia di Taranto con collegamenti nel brindisino. Il collegio riunito in camera di consiglio, composto dai giudici Fulvia Misserini (presidente), Giuseppe De Francesca (relatore) e Loredana Galasso, con la presenza del pubblico ministero della direzione distrettuale antimafia di Lecce, Alessio Coccioli, ha avviato il procedimento per la futura confisca di tre terreni agricoli, un’autorimessa, un magazzino, un fabbricato di 300 metri quadrati, tutti situati in contrada «Laccello» agro di Manduria; un’auto Alfa Romeo Mito e conti correnti bancari intestati a Pietro Tondo, manduriano di 45 anni, alla moglie Antonia Piccini di 44 e alla loro figlia Loredana di 26 anni.
I loro avvocati, Franz Pesare e Armando Pasanisi, sono riusciti a salvare dalla futura confisca l’abitazione occupata dal nucleo familiare e un terreno circostante che tra i beni proposto per il sequestro erano quelli di più alto valore.
 

 

Ad eccezione di queste due proprietà sottratte al sequestro, entrambi appartenuti ai coniugi Tondo, «tutti gli altri - si legge nel dispositivo – devono restare assoggettati all’inevitabile ablazione in vista della definitiva acquisizione alla mano pubblica, giacchè, oltre ad essere risultati sprovvisti di lecita giustificazione quanto alla relativa provenienza in rapporto alle fonti reddituali dei predetti soggetti incapaci, anche solo in astratto – continua l’ordinanza -, di sorreggere i relativi titoli acquisitivi, l’acquisto di quei cespiti finisce per collocarsi entro un perimetro temporale tracciato da fatti attraverso cui la pericolosità sociale, senz’altro qualificate, del proposto ha trovato occasioni di ripetuta manifestazione, lasciando così presumere che quei beni ne costituiscano il frutto».
L’ordinamento di riferimento è quello che distoglie dal circuito economico patrimoni illecitamente accumulati il cui valore risulti sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica svolta dai soggetti di un certo spessore criminale o colpiti da misure per reati di mafia.

Il profilo economico della famiglia Tondo, passato sotto la lente d’ingrandimento dei militari del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza, ha evidenziato che i proventi leciti della famiglia Tondo-Piccinni (titolari di un’azienda per il commercio di legna da ardere), non erano sufficienti neppure al minimo sostentamento del nucleo familiare stesso. Dal 1995 al 1998, ad esempio, il reddito dichiarato dal capofamiglia è stato di circa 18mila euro.
I reati per i quali soprattutto Pietro Tondo sta già scontando pene detentive (attualmente è rinchiuso nel carcere di Teramo), vanno dalla rapina all’estorsione sino al riconoscimento dell’associazione mafiosa. Nel lungo casellario giudiziario di Tondo spicca la parte in cui il tribunale di Taranto lo riconosce facente parte di un’associazione armata di stampo mafioso quale frangia manduriana della sacra corona unita anche in collegamento con la cosca dei mesagnesi legata al boss Massimo Pasimeni e ad altri esponenti della stessa organizzazione criminale di Francavilla Fontana tra cui Giancarlo Capobianco, altro boss affiliato al clan Pasimeni.


 

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