Nuovo scossone all'ex Ilva: cambio al vertice di Taranto. Torna un direttore del passato

La veduta dell'ex Ilva di Taranto
La veduta dell'ex Ilva di Taranto
di Domenico PALMIOTTI
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Giovedì 1 Giugno 2023, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 06:41

Nuovo scossone in Acciaierie d’Italia, ex Ilva. Da oggi Vincenzo Dimastromatteo torna a guidare lo stabilimento di Taranto in qualità di direttore. Lo apprende Quotidiano da fonti sindacali e di fabbrica. Lascia la direzione Salvatore Del Vecchio. A quanto pare, sarebbe stato lui a lasciare.

Addii e ritorni

Insediato l’1 febbraio scorso, Del Vecchio, già in forza all’Ilva con la gestione Riva, aveva preso il posto di Alessandro Labile, che, nominato direttore di stabilimento ad agosto 2022, è poi tornato a dirigere l’area Ambiente e Sicurezza della fabbrica. Labile, a sua volta, aveva sostituito al vertice Dimastromatteo, arrivato in Acciaierie d’Italia ad aprile 2021. In precedenza, Dimastromatteo era stato col gruppo Arvedi e prima ancora all’Ilva con la gestione Riva. Dimastromatteo, tarantino, già ieri avrebbe avuto le prime riunioni con i capi dello stabilimento.  Negli ultimi mesi il siderurgico ha vissuto vero e proprio esodo di manager e consulenti. Andati via per loro scelta oppure mandati via. Forse non è numericamente paragonabile all’esodo che volle Mittal a gennaio 2020, quando fece rientrare tutti coloro (in gran parte stranieri) che aveva fatto arrivare a Taranto con la presa in gestione del gruppo (1 novembre 2018), ma è egualmente significativo in quanto ha investito diverse posizioni chiave. È andato via Marcello Sorrentino, che è stato direttore generale per 8 mesi (proveniva da Fincantieri). Stessa cosa per Pietro Golini, che da marzo ha lasciato le Relazioni industriali a Luca Lonoce. Per non dire di consulenti come Salvatore De Felice, già direttore dell’area ghisa e, per un breve periodo, anche dello stabilimento, allontanato da AdI, poi richiamato nell’estate 2022 (quando c’era il problema dell’altoforno 2 che non ripartiva) e poi a fine febbraio nuovamente mandato via. A quel periodo, oltretutto, risalgono anche rumors che davano in bilico la poltrona di Del Vecchio, che era arrivato da appena 20 giorni. Rumors che però non trovarono conferma. E prima di questi manager, era andato via il capo delle acciaierie, Giovanni Donvito, che ora dirige lo stabilimento Thy Marcinelle del gruppo Riva. Donvito aveva preso il posto di Vito Ancona, trasferito all’area Energia e ora, secondo indiscrezioni, in procinto di tornare alla guida delle acciaierie. Dato di rilievo, però, è che nel giro di qualche anno il siderurgico ha più volte cambiato guida. Per restare agli ultimi nomi, Loris Pascucci, che in AdI ora ha un altro incarico, Vincenzo Dimastromatteo, Alessandro Labile, Salvatore Del Vecchio e ora di nuovo Dimastromatteo.

Le tensioni tra pubblico e privato


Il continuo avvicendamento alla direzione dimostra la situazione molto particolare che da tempo vive l’ex Ilva. I sindacati parlano di “grande confusione” e di “azienda allo sbando”. Peraltro, i cambi al vertice si inseriscono in uno scenario che vede pubblico e privato, che nell’acciaio sono, o dovrebbero essere, alleati, in forte tensione tra loro. Tensione che potrebbe sfociare in uno strappo definitivo, oppure in un ribaltamento dell’assetto societario di AdI, con lo Stato che utilizza la leva del decreto legge sugli impianti strategici, converte in capitale i 680 milioni erogati mesi addietro da Invitalia e passa in maggioranza al 60 per cento. Attualmente lo Stato è partner di minoranza (38 per cento) di AdI attraverso Invitalia mentre il privato ArcelorMittal detiene la maggioranza (62 per cento). Mittal che dagli inizi del 2021 ha deconsolidato la “costola” italiana dalla multinazionale creando non pochi problemi. A partire dalla mancanza di circolante, che, come ha ricordato il presidente di AdI, Franco Bernabè, il 19 maggio al Festival di Asvis, “è una cosa che ci angoscia”. Perchè da allora, ha spiegato Bernabè, “non c’é stato modo di trovare un finanziamento, una modalità di accesso al finanziamento bancario”.
Tutto da vedere, adesso, come finirà il conflitto tra Acciaierie d’Italia e Dri d’Italia (società di Invitalia) sull’impianto di preridotto da costruire a Taranto per l’alimentazione dei forni elettrici. In gioco sono la decarbonizzazione, la possibilità di avere una produzione di acciaio più sostenibile ambientalmente, la riduzione delle emissioni inquinanti e la spesa di un miliardo del Pnrr già stanziato col dl Aiuti Ter. AdI contesta a Dri d’Italia (presieduta da Bernabè) il mancato coinvolgimento sul progetto, non condivide le decisioni sinora prese da Dri d’Italia e rivendica il diritto a gestire direttamente l’operazione. Altrettanto fa Dri d’Italia, a cui la legge assegna il ruolo di soggetto attuatore del progetto. Lo scontro fra AdI e Dri d’Italia è venuto a galla adesso, ma, a quanto pare, sarebbe in atto da mesi. Come presidente delle due società, Bernabè ha già evidenziato che “le diversità di assetto azionario tra Dri d’Italia e Acciaierie d’Italia comportano oggettive difficoltà nel coordinamento tra rispettivi piani industriali”. Ma la convivenza tra pubblico e privato è difficile anche in AdI. Ha detto sempre Bernabè mesi fa: “Lo Stato e ArcelorMittal decideranno come proseguire, se lo riterranno, questa collaborazione”. Si era a fine anno e non si trovava l’intesa su come finalizzare l’altro miliardo per l’ex Ilva del dl Aiuti Bis. Ci vollero sedute continue per un mese del cda di AdI e l’approvazione dell’ultimo decreto legge, quello sugli impianti strategici, prima di sbloccare la situazione. In quell’occasione, infatti, Mittal voleva che i fondi andassero in soccorso della liquidità dell’azienda, mentre il Governo al riequilibrio della governance societaria. Poi fu trovata la sintesi nel dare sì le risorse ad AdI (680 milioni) ma attribuendo al Governo la possibilità di convertirle in capitale. Una possibilità che ora ha ripreso quota nelle parole del ministro Adolfo Urso, convinto che così non si possa più andare avanti: “L’investitore straniero deve dimostrare di credere nella trasformazione dell’acciaieria di Taranto per farne il più grande sito siderurgico green in Europa. Se non ci credono loro, lo Stato se ne assume la responsabilità e troverà chi ci crede insieme a noi”. 

I sindacati

Infine, con una lettera inviata ieri al ministero del Lavoro e ad Acciaierie d’Italia, ex Ilva, le segreterie nazionali del sindacati metalmeccanici Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm hanno chiesto “l’esame congiunto” della richiesta di cassa integrazione in deroga che l’azienda ha inoltrato il 25 maggio per 2.500 addetti dello stabilimento di Taranto in continuità con la cassa straordinaria attualmente in corso. Quest’ultima riguarda lo stesso numero di dipendenti, è cominciata da fine marzo scorso e scade il 19 giugno. 

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