Ex Ilva: la strategia del Governo per Taranto. Oggi tutti a Palazzo Chigi

La fabbrica di Taranto
La fabbrica di Taranto
di Domenico PALMIOTTI
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Mercoledì 27 Settembre 2023, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 28 Settembre, 14:09

Decarbonizzazione della produzione di acciaio, investimenti al centro e tre leve da manovrare per le risorse: Fondo di sviluppo e coesione, RepowerEU e Just Transition Fund. Sarebbe questa la strategia che avrebbe messo in campo il Governo, essenzialmente attraverso il ministro degli Affari europei, coesione e Pnrr, Raffaele Fitto, per arrivare ad un nuovo accordo con Acciaierie d’Italia e soprattutto con la componente privata ArcelorMittal per l'ex Ilva di Taranto

Il  vertice di oggi


Nessun capovolgimento di fronte o Stato al 60 per cento in AdI, ma prosecuzione con l’attuale partner privato in una nuova cornice. Oggi se ne potrebbe sapere di più nell’incontro che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, presenti alcuni ministri direttamente interessati al dossier ex Ilva, avrà con i vertici nazionali di Fim, Fiom e Uilm nella Sala Verde di Palazzo Chigi con inizio alle 13. A distanza di anni, la vicenda ex Ilva torna quindi nella sede della presidenza del Consiglio dopo essere stata sempre trattata, a seconda degli aspetti in discussione, nel palazzo del ministero dello Sviluppo economico (oggi delle Imprese e del Made in Italy), in assoluto il più frequentato, o in quello del Lavoro o, ancora, in quello dell’Ambiente. 
Il ritorno a Palazzo Chigi attraverso l’interlocuzione con una delle parti coinvolte, i sindacati (perché riunioni del solo livello governativo ce ne sono state), se è vero che nasce dalla richiesta avanzata il 20 settembre al premier e ai ministri dalle organizzazioni nazionali metalmeccaniche, dimostra però altre due cose: che la crisi del gruppo siderurgico, partecipato dallo Stato al 38 per cento attraverso Invitalia, si è davvero acuita e che sul dossier ha rafforzato la sua attenzione il presidente Giorgia Meloni.

Non è casuale, infatti, che la convocazione sia partita dagli uffici del sottosegretario Mantovano, che è segretario del Consiglio dei ministri e diretto collaboratore del premier. 

La strada e il primo tassello


La strada per arrivare ad un nuovo accordo con Mittal è fatta grosso modo da due tratti. Il primo è stato già costruito attraverso due decreti legge nella prima parte dell’anno (gennaio e luglio). Il primo decreto ha sancito il ritorno dello scudo penale (che il Parlamento, nell’autunno 2019, aveva soppresso provocando l’immediata ritirata di Mittal poi rientrata con un’intesa a marzo 2020) e sbloccato l’erogazione da parte di Invitalia di 680 milioni all’azienda, che in quel momento era (come oggi) con la cassa a secco. Il secondo decreto, invece, ha esteso la salvaguardia penale agli interventi di decarbonizzazione di AdI e stabilito che l’azienda possa essere ceduta da Ilva in amministrazione straordinaria anche con gli impianti sotto sequestro (quelli dell’area a caldo lo sono da 11 anni) e continuare produrre anche se la Corte di Cassazione, in terzo grado, dovesse confermare la confisca degli stessi impianti così come stabilito nella sentenza di primo grado (Corte d’Assise) del processo “Ambiente Svenduto”. Inoltre, l’ultimo decreto ha limitato il potere di ordinanza del sindaco (e Rinaldo Melucci ne ha firmata un’altra a maggio sullo stop dell’area a caldo, ordinanza per ora sospesa dal Tar di Lecce in attesa dell’udienza di merito di fine ottobre). Il senso dei due decreti, già convertiti in legge, è chiaro: ricreare, da parte del Governo, un contesto favorevole all’imprenditore e spingerlo ad investire adeguatamente (c’è da affrontare la decarbonizzazione) e a rilanciare una fabbrica da tempo ridotta al lumicino.

Il secondo step


Il secondo tratto della strada, che è in costruzione, riguarda invece le ulteriori risorse che la parte pubblica deve mettere in gioco insieme, ovviamente, a quelle private. Di qui il ruolo di strumenti come Fsc, RepowerEU e JTF a fronte di una riconversione di AdI che il presidente Franco Bernabé ha valutato in oltre 5,5 miliardi di euro (oggi da aggiornare) in 10 anni. Nel Fondo di sviluppo e coesione dovrebbe essere ricollocato il miliardo per l’impianto del preridotto di ferro (il semiprodotto che dovrà alimentare i forni elettrici) che prima dell’estate il Governo ha sfilato dal Pnrr, dove lo aveva messo l’ex premier Mario Draghi, per evitare di correre il rischio (cosi ha detto il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin) di non ultimare l’impianto entro il 2026. Il trasloco del miliardo dal Pnrr al Fondo di sviluppo e coesione non è però semplice, tenuto conto che qui andranno riposizionati anche tutti gli altri interventi che il Governo ha definanziato dal Pnrr.

I conti e le risorse

«È chiaro che a febbraio-marzo prossimo bisogna sapere quale è la fonte di finanziamento», ha detto nei giorni scorsi a Quotidiano l’ad di Dri d’Italia, Stefano Cao, la società pubblica (Invitalia) che col miliardo costruirà l’impianto di preriduzione per l’ex Ilva. Poi c’è il RepowerEU, il capitolo aggiuntivo del Pnrr destinato a progetti contro il caro-energia e per la transizione ecologica. In agosto l’Italia ha presentato alla UE il nuovo Pnrr con l’aggiunta del capitolo REPowerEU, proponendo, altresì, la revisione di 144 investimenti, nonché riforme relative alle sei aree tematiche del piano. Una delle modifiche indicate riguarda la transizione ecologica. Il REPowerEU vale per l’Italia 2,76 miliardi di euro come nuove sovvenzioni. A ciò si aggiunge il JTF che, per favorire il superamento dell’economia legata alle fonti fossili, assegna all’Italia 1,2 miliardi (comprensivi del cofinanziamento nazionale) su 17,5 miliardi che costituiscono il plafond complessivo. Su 1,2 miliardi, 795 milioni vanno a Taranto (il Comune punta ad avere 250 milioni per quattro progetti: la “Green Belt”, la cintura verde, il “Sea Hub” per potenziare la filiera del mare, la “Biennale del Mediterraneo” e il “Campus ionico della ricerca”). Infine ci sono anche i 150 milioni che a maggio 2022, col dl Energia, sono stati assegnati ad Acciaierie d’Italia per la decarbonizzazione togliendoli dal patrimonio destinato dell’amministrazione straordinaria per le bonifiche (inizialmente dovevano essere 575 ma il Parlamento si oppose affondando la proposta del Governo). 
Non è magro il pacchetto quindi. Solo che andrà trovato un accordo con Bruxelles e con Mittal. Perché il nuovo patto, col nuovo contesto e i nuovi finanziamenti, e lasciando per il momento immutati i rapporti di forza in AdI tra privato e pubblico, regge se anche Mittal fa il suo. E qui le perplessità, non solo dei sindacati, sono davvero molte. E intanto resta confermato lo sciopero di domani di 24 ore. 

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