Diossina a Manduria, il caso in Parlamento

Diossina a Manduria, il caso in Parlamento
di Nazareno DINOI
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Venerdì 30 Settembre 2016, 09:35 - Ultimo aggiornamento: 16:16
Finisce in Parlamento il presunto smaltimento, da parte di un’azienda di Manduria, di notevoli quantità di polveri contenenti diossine prodotte dagli elettrofiltri dei camini dell’Ilva di Taranto. A parlarne, con una interrogazione a risposta orale presentata al ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti, sarà il senatore pugliese Dario Stefano. Il parlamentare di Sel, presidente della Giunta per le elezioni e immunità parlamentari, ha preso spunto dalle dichiarazioni del leader di Peacelink, Alessandro Marescotti, rese davanti alla commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, secondo cui, prima del 2005, la diossina in polvere raccolta dai filtri del camino E321 del siderurgico (quello incriminato di immettere nell’aria la più alta concentrazione di diossina d’Europa), veniva smaltita in un’azienda manduriana di cui non si conosce il nome. L’informazione che fu secretata nei verbali di quell’audizione avvenuta nella prefettura di Taranto nello scorso mese di marzo, faceva parte - così disse Marescotti – di una confidenza raccolta personalmente da un operaio dell’Ilva addetto al riempimento di quei sacchi di diossina.
 
Da qui l’interesse di Stefano. «A Manduria – scrive nel suo atto - non esistono siti idonei ad accogliere rifiuti di quel tipo e fino ad oggi l’Ilva ha fornito indicazioni circa la tracciabilità della diossina indicando come sito autorizzato ed esclusivo solo quello di Orbassano, in provincia di Torino». Partendo da questo presupposto il senatore di Sel chiede al ministro «se è a conoscenza di questi fatti e se non ritiene necessario attivare con estrema urgenza tutte le iniziative utili a fare immediata chiarezza su quello che costituirebbe un traffico illecito di rifiuti speciali pericolosi».
A sollecitare l’intervento del parlamentare salentino è stato il gruppo manduriano del movimento politico «La Puglia in più» di cui Stefano è leader. «Tale notizia – si legge in un loro documento - merita di essere approfondita alla luce dei diversi casi di tumori e disfunzioni alla tiroide registrati nel nostro territorio che, come afferma la ricerca medica, sarebbero proprio collegati all'esposizione di alcuni agenti inquinanti come la diossina».
Anche gli amministratori locali cominciano a preoccuparsi della vicenda. A chiedere che sia la magistratura inquirente ad appurare come stanno le cose, è il vicesindaco di Manduria, Gianluigi De Donno, il quale ha dichiarato che prenderà copia degli articoli di stampa sul presunto smaltimento di diossina nel misterioso sito e le invierà direttamente in Procura con la speranza che si apra un’inchiesta. «La vicenda – afferma De Donno – presuppone un’attività investigativa che è prioritaria rispetto all’attenzione politica».
L’altro a muoversi è l’assessore comunale all’Ambiente, Amleto Della Rocca che ieri ha prodotto due lettere: una indirizzata al Prefetto di Taranto nella quale si chiede un suo intervento in merito e l’altra alla deputata del Pd, Laura Puppato, componente della commissione d’inchiesta sui rifiuti. In quest’ultima missiva Della Rocca chiede alla componente del suo partito «se ha memoria dell’audizione con Marescotti e se le risulta che i relativi verbali siano stati poi trasmessi a qualche organo inquirente». Da Taranto filtra invece l’indiscrezione (riferita dal sindaco di Manduria Roberto Massafra ai suoi più stretti collaboratori), secondo cui né il questore Stanislao Schimera e né il prefetto di Taranto, Umberto Guidato, sono a conoscenza del contenuto dell’audizione secretata a marzo raccolta proprio nel palazzo di governo del capoluogo. I manduriani, intanto, continuano a chiedersi se l’inquietante notizia abbia un fondamento e, nel caso affermativo, che fine abbiano fatto le ceneri di diossina e chi ci ha guadagnato ad ospitarle nella propria azienda.
 
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