Cito resta senza vitalizio. Respinto il suo ricorso

Cito resta senza vitalizio. Respinto il suo ricorso
di Lino CAMPICELLI
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Mercoledì 30 Novembre 2016, 06:18 - Ultimo aggiornamento: 17:33
Niente da fare per Giancarlo Cito, con un passato di parlamentare e di sindaco di Taranto. Nel suo caso è stata confermata la revoca del vitalizio che spetta ai parlamentari.
A distanza di quasi un anno dal ricorso, la Commissione parlamentare di Roma (presieduta dall’onorevole Alberto Lo Sacco) ha respinto i motivi addotti dalla difesa di Cito.
In piedi resta la deliberazione che aveva annullato i vitalizi dei parlamentari nei confronti dei quali erano state inflitte condanne superiori ai due anni.

La Commissione parlamentare ha detto “no”, attraverso la riunione dei ricorsi, anche all’istanza presentata a suo tempo dalla difesa dell’ex ministro De Lorenzo e di altri due ex parlamentari, pure loro coinvolti in vicende giudiziarie sfociate in condanne superiori ai due anni.
Giancarlo Cito, da questo punto di vista, è in buona compagnia. Tuttavia, non può di sicuro essere soddisfatto del “mal comune”.

Il fatto che la Commissione parlamentare abbia impiegato quasi un anno per arrivare a questo risultato la dice lunga sulla complessità della materia e sulla fondatezza delle questioni poste a suo tempo dagli avvocati Franco De Feis e Guglielmo De Feis, che avevano contestato alla radice la decisione capitolina.
 
Nei mesi scorsi, peraltro, il ricorso promosso in favore di Cito era stato integrato con documentazione sulla situazione economico-patrimoniale dell’ex parlamentare.
Come è noto, fra le argomentazioni addotte nel robusto ricorso discusso dai legali tarantini, vi era anche quella che la perdita del vitalizio avrebbe impedito a Cito di godere di un sostentamento economico, giacchè Cito non godrebbe di altri cespiti da cui attingere risorse. L’assunto era stato sostenuto da ampia documentazione, affinchè il consiglio di giurisdizione avesse un quadro di riferimento definitivo.

Ma quale era stata la questione principale? Riguardava l’arbitrio sotteso al principio di “Autodichia” (prerogativa dei due rami del Parlamento di risolvere, attraverso un organismo giurisdizionale interno, le controversie insorte con i propri dipendenti).
Nel caso in questione, i legali di Cito avevano eccepito che la delibera della presidenza del Consiglio avrebbe violato l’articolo 25 della carta costituzionale (“Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge; nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”).
Sostanzialmente, a Cito era stato vietato di adire un giudice per far valere il suo diritto represso.

L’assunto proposto era semplice: se è ammissibile che siano legittimati a rivolgersi ai giudici ordinari i dipendenti della Camera, a maggior ragione non può essere impedito il percorso a un terzo estraneo, qual è da ritenere un ex parlamentare.
Così, la difesa di Cito aveva fatto un passo in avanti. E aveva contestato la decisione del presidente della Camera Laura Boldrini (alla quale si deve la revoca del vitalizio agli ex parlamentari), eccependo la violazione dell’articolo 25 della Costituzione, secondo cui «le norme penali e le sanzioni accessorie non possono essere applicate in modo reotroattivo».

In pratica, atteso che Cito è stato condannato per reati in ragione dei quali nell’estate 2015 è scattata la norma della presidenza del Consiglio, quest’ultima non può essere applicata come pena accessoria di un reato su cui si è da tempo formato il giudicato.
Vale la pena di ricordare, infatti, che per i legali di Cito l’applicazione del decreto del presidente della Camera poteva (e ancora deve) avere valore a partire da sentenze che siano state emesse successivamente alla data dello stesso decreto (luglio 2015).

Ciò che «è avvenuto in precedenza», avevano sostenuto gli avvocati Franco De Feis e Guglielmo De Feis, «come nel caso di Cito, non può essere compreso nel regolamento presidenziale». Di qui, secondo le valutazioni dei legali, la violazione del principio della irretroattività delle norme penali e della inapplicabilità del decreto regolamentare, la cui vigenza scatterebbe «dalla data della firma e non può essere riferita a fatti e sentenze passate in giudicato in epoca precedente».
In ogni caso, resta in piedi la questione della legittimità costituzionale del conflitto di attribuzione fra poteri dello stato sollevato dagli stessi legali di Cito che non sarebbe stato affrontato dalla Commissione. Quest’ultima, secondo quanto filtrato da Roma, avrebbe confermato la revoca dei vitalizi, lasciando un piccolo spiraglio, di cui potrebbero beneficiare Cito e gli altri tre parlamentari.
La Commissione ha infatti posto come “condizione risolutiva” la riabilitazione dei soggetti ai quali è stato revocato il vitalizio.
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