Chieste trentadue condanne
per 140 anni di reclusione

Chieste trentadue condanne per 140 anni di reclusione
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Venerdì 23 Giugno 2017, 05:40 - Ultimo aggiornamento: 19:20
Trentadue condanne a pene per complessivi 140 anni di reclusione per gli affari sporchi del presunto clan De Vitis-D’Oronzo, che sta anche facendo registrare il secondo grado di giudizio per quanti hanno scelto la causa con lo sconto. Le condanne sono state richieste ieri a Taranto dal pm antimafia dottor Alessio Coccioli, il cui intervento durato circa cinque ore si è tradotto in un approfondito exursus su una fetta della malavita tarantina che aveva ingaggiato una dura lotta di potere con il clan dei fratelli Modeo e che successivamente agli arresti e alle condanne si sarebbe rigenerato, senza perdere di vista «l’obiettivo del malaffare». Nel maxi-processo (celebrato dal collegio presieduto dalla dottoressa Patrizia Todisco) figurano presunti capibastone, luogotenenti e affiliati del sodalizio. Il procedimento di riferimento è quello denominato “Alias”, per l’abitudine dei coinvolti di utilizzare soprannomi. Non per niente Orlando D’Oronzo e Nicola De Vitis (a loro carico è in corso il giudizio di secondo grado), erano chiamati «fratello grande» e «fratello piccolo».
Entrambi, i galloni di capi, oltre a tanti anni di galera, li avevano guadagnati sul campo all’epoca della guerra tra clan, quella che insanguinò appunto Taranto a cavallo degli anni ‘90. Una volta tornati in libertà, però, avrebbero fatto brillare nuovamente la loro stella. Imponendo il pizzo, gestendo altre attività illecite e punendo i rivali o chi semplicemente non mostrava «rispetto». Così avrebbero rimesso in piedi il clan.
Di questo, e dei tanti episodi che hanno caratterizzato il predominio del gruppo, ha parlato ieri il sostituto procuratore antimafia, la cui conoscenza della mappa e degli schieramenti della mala tarantina si era radicata nella sua attività svolta nella procura jonica, prima di passare alla Distrettuale salentina.
Rimesso in piedi il clan, secondo le indicazioni fornite ieri dall’accusa, «i capi si sarebbero preoccupati di non trascurare l’idea di azzannare gli appalti pubblici».
 
Un capitolo nero della vicenda processuale, che portò al coinvolgimento di Fabrizio Pomes, imprenditore con un passato da politico nel Psi, riguarda, ha detto ieri il dottor Coccioli, «proprio personaggi eccellenti». Pomes, per la cronaca, è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa per gli interessi del gruppo sull’ex gestione del Centro sportivo Magna Grecia.
Queste le richieste formulate ieri dall’accusa: Anna Pia Albano, condanna a 2 anni di reclusione; Calogero Bonsignore, condanna a sei anni; Raffaele Brunetti, condanna a 12 anni; Sergio Cagali, condanna a 8 anni; Rosa Cardellicchio, condanna a 16 mesi; Pietro Cetera, condanna a 12 anni; Rosa Ciotola, condanna a 16 mesi; Armando Crupi, condanna a 16 mesi; Giuseppe D’Andria, condanna a 4 anni; Francesco D’Angela, condanna a 2 anni; Cosimo D’Oronzo del 1988, condanna a 16 mesi; Cosimo D’Oronzo del 1973, condanna a un anno; Rosario D’Oronzo, condanna a un anno; Michele De Vitis, condanna a sei anni; Angelo Di Carlo, condanna a 2 anni; Gianpiero Di Carlo, condanna a 4 anni; Giovanni Geri, condanna a 6 mesi; Francesco Leone, condanna a 6 anni; Tommaso Luciano, condanna a 2 anni; Leo Mollica, condanna a 4 anni; Luigi Morelli, condanna a 16 mesi; Bladimir Polo Oduver, condanna a 6 anni; Giovanni Perrone, condanna a sei mesi; Fabrizio Pomes, condanna a 6 anni; Moreno Rigodanzo, condanna a 10 anni; Massimiliano Salamina, condanna a 9 anni; Giorgio Saponaro, condanna a 4 anni; Francesco Scarci, condanna a 10 anni; Riccardo Vallin, condanna a 8 anni; Vladimiro Viola, condanna a 6 mesi.
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