Impianto mai attivato, il Comune deve restituire i 2 milioni di finanziamento

Impianto mai attivato, il Comune deve restituire i 2 milioni di finanziamento
di Francesco TANZARELLA
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Domenica 24 Luglio 2016, 09:14 - Ultimo aggiornamento: 16:40
Il rischio c’era ed ora si è concretizzato. A fine maggio prevedemmo il rischio, concretizzato in queste settimane: il Comune di Castellaneta dovrà restituire alla Regione 2 milioni e 175mila euro ricevuti a fine anni ’90 per la realizzazione dell’impianto per il riuso delle acque reflue.
La vicenda, che si trascina da diversi anni, tornò d’interesse circa due mesi fa complice un convegno che l’amministrazione comunale organizzò proprio per parlare di depurazione e agricoltura con l’assessore regionale Giannini: quella mossa apparve finalizzata, più che a un approfondimento del tema, a sancire un tacito accordo che avrebbe chiuso il pregresso e aperto al recupero dell’opera con nuovi finanziamenti. Almeno queste erano le apparenti aspettative, prima che il 16 giugno il tribunale di Taranto, in composizione monocratica, sentenziasse che il Comune deve restituire quelle somme e pagare anche le spese di lite (10mila euro).
 
L’impianto fu finanziato dall Comunità Europea a fine anni ‘90 e terminato nel 2002, pur non entrando mai in funzione per problemi connessi al recapito finale delle acque (non disperdibili semplicemente nel terreno, insomma). Abbandonato e vandalizzato, senza che nessuna delle amministrazioni succedutesi negli anni se ne preoccupasse (l’ultimo atto è rintracciabile ad aprile scorso, con una delibera di giunta che avrebbe avviato l’iter di riattivazione, ma su precise disposizioni della Regione), finì per attirare l’attenzione delle strutture di controllo regionali. Leonardo Rubino, consigliere comunale d’opposizione, ha seguito questa vicenda sin dall’inizio: «Ripetutamente interpellato – ha dichiarato Rubino –, il Comune non aveva dato riscontro alle richieste della Regione e, pertanto, il Servizio Regionale Agricoltura, dopo varie e vane diffide, richieste di riscontro e messe in mora, aveva proceduto alla revoca del finanziamento, chiedendo la restituzione di quanto erogato. Ma anche stavolta dal Comune non era giunta alcuna risposta; l’atto di revoca del contributo, non impugnato, diventava definitivo e, quindi, esecutivo. La Regione avviava l’azione di recupero delle somme con procedura coattiva». L’ingiunzione fu notificata a novembre 2013, il Comune vi si oppose nominando un legale di parte, l’avvocato Antonio Pancallo.

Da quella opposizione è sorto il procedimento concluso a metà giugno: «La sentenza di condanna smentisce clamorosamente chi nelle scorse settimane – ha aggiunto Rubino – aveva maliziosamente fatto intendere che la questione fosse superabile con un nuovo finanziamento». Il consigliere comunale, peraltro, sostiene che lo stesso Giannini, sollecitato da un’interrogazione, avrebbe dichiarato che qualsiasi azione di recupero non potesse prescindere dalla restituzione di quanto malversato.

Come specificato dal tribunale, infatti, la semplice realizzazione del manufatto non basta a giustificare il finanziamento. «La destinazione di risorse pubbliche a un progetto e a un’opera di riconosciuto interesse per la comunità – si legge nella sentenza – postulano la realizzazione di una “infrastruttura” funzionale ed efficiente, ergo operativa». Proprio ciò che non è accaduto al depuratore castellanetano. Ma per colpa di chi? «I consiglieri di opposizione hanno chiesto alla Corte dei Conti di accertare – ha spiegato Rubino –, perché siano valutate condotte, azioni e omissioni di quanti hanno concorso alla dilapidazione di una così consistente massa di denaro pubblico».
La sentenza è già esecutiva, comunque, e Rubino teme che l’amministrazione possa proseguire l’iter giudiziario in appello: «Si paleserebbe esclusivamente come l’ennesimo furbesco pretesto per sottrarsi all’esame della vicenda, facendo ricadere sulla comunità ulteriori spese».
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