Da Taranto all'abisso dell'Isis: la procura di Milano chiede il processo per lady Jihad e famiglia

La "metamorfosi" di Maria Giulia Sergio
La "metamorfosi" di Maria Giulia Sergio
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Sabato 21 Novembre 2015, 14:32 - Ultimo aggiornamento: 2 Dicembre, 13:26

A Milano risulta indagato, insieme con le figlie e altre otto persone, nel processo per associazione a delinquere con finalità di terrorismo: la procura meneghina ha chiesto il processo, l’altroieri. Ma c’è chi Sergio Sergio a Sava lo ricorda ancora, ben lontano da quei presunti eccessi filo-Isis. A tutti nella cittadina tarantina pare veramente incredibile che lui, assieme alla famiglia, sia coinvolto in fatti così gravi, così atroci. Eppure, già lo scorso luglio nei confronti del savese e dei suoi famigliari erano state emesse delle ordinanze di custodia cautelare in carcere.



Il ruolo della figlia. Il fulcro di tutto, già dalle indagini dei mesi scorsi, era la figlia Maria Giulia, convertita all’Islam e con il nome di Fatima Az Zahra poi partita per combattere in Siria, al fianco del marito mujaheddin, per l’esercito del califfo Abubakr Al Baghdadi. La ragazza aveva esultato per la strage nella redazione parigina di Charlie Hebdo e la morte di quei fumettisti trucidati era «cosa gradita». Scriveva così in due sms inviati lo scorso gennaio, all’indomani della prima ferita inferta alla Francia dai “soldati” dell’Isis, Maria Giulia Sergio. Ora per lei, la prima foreign fighter italiana al centro di un’inchiesta e tuttora latitante, per Aldo Said Kobuzi, l’uomo con cui si è sposata nel settembre dell’anno scorso e con cui vivrebbe nella zona di Raqqua, e per altre 9 persone, tra cui il padre Sergio e la sorella Marianna, la Procura di Milano ha chiesto il processo.

Il padre a Sava. Dopo la separazione dei genitori, il giovane Sergio, quando ancora viveva a Sava, si era destreggiato tra mille mestieri: «Sembrava un bravo ragazzo», ricorda chi all’epoca lo vedeva in giro per il paese. La figlia, più volte, aveva invitato i genitori a partire e ad unirsi all’Isis. E l’uomo sembrava incerto tra la possibilità di tornare al lavoro dopo la cassa integrazione o racimolare la liquidazione e fare i bagagli: la figlia, durante una delle tante intercettazioni via skype, gli aveva promesso una grande casa ed un orto da coltivare.

Le accuse a vario titolo sono terrorismo internazionale, organizzazione del viaggio per finalità di terrorismo e favoreggiamento. La richiesta di mandare a giudizio gli 11 è stata firmata dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e dal pm Paola Pirotta, titolari delle indagini che lo scorso luglio avevano portato a emettere ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di nove presunti jihadisti (5 dei quali latitanti), tra cui appunto Fatima, il marito albanese e la madre di quest’ultimo, Donika Coku, che dalla Siria aveva assistito a «lapidazioni» e «teste mozzate». Cinque mesi fa andarono in carcere il padre, la madre (morta lo scorso 6 ottobre) della ragazza di Inzago, paese nel Milanese, sua sorella Marianna, Baki Coku e Arta Kakabuni, due zii di Kobuzi.

Foreign fighter per Isis. Secondo la ricostruzione dei pm, Maria Giulia Sergio, dopo aver lasciato il piccolo centro alle porte di Milano, arrivata in Siria, si è addestrata per mesi per combattere a fianco delle milizie del sedicente Stato Islamico: era pronta al «martirio» e stava «imparando a sparare» con il kalashnikov. Da lì via Skype avrebbe incitato i suoi familiari a seguire il messaggio del «Abubakr Al Baghdadi». Per lei, come per il leader dell’Isis, il «musulmano che non può raggiungere lo Stato Islamico è chiamato a compiere obbligatoriamente il Jihad nel luogo in cui si trova, e il jihad consiste nell’uccidere i miscredenti». E ancora: «Noi qui - aveva detto - stiamo ammazzando i miscredenti per poter allargare lo Stato Islamico». Suoi i due messaggi intercettati dagli uomini della Digos in cui esultava per il massacro nella redazione di Charlie Hebdo. «Cosa gradita per i fedeli!!! Dio è grande! Due dei mujaheddin hanno assassinato i fumettisti, quelli che hanno offeso il Profeta dell'Islam, in Francia. Preghiamo Dio di salvarli dalle loro mani». E poi: «Habibty Allahu Akbar sono morti i vignettisti che si burlavano del Messaggero pace e benedizione su di lui... !!! Bisogna fare sujud di ringraziamento» Ma dalle carte dell’inchiesta sono spuntati anche i nomi di arruolatori e reclutatori dell’Isis, tra cui il turco Ahmed Abu Alharith «coordinatore dell’arrivo dei foreign fighters in Siria», un libico «coordinatore dell’invio dei combattenti» e Abu Sawarin «responsabile dei “francesi” in arrivo nel territorio dello Stato islamico».

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