Azzurra, l'ultima magia di Roger Waters
Ballerina salentina per l'ex Pink Floyd

Azzurra Caccetta nel video di Roger Waters "The last refugee"
Azzurra Caccetta nel video di Roger Waters "The last refugee"
di Rosario TORNESELLO
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Domenica 9 Luglio 2017, 21:04 - Ultimo aggiornamento: 10 Luglio, 20:02
La mano accarezza l’aria. Sfiora i ricordi. Le dita come su tastiera inclinata. Piano. Lenti anche i passi, non il passato, che torna veloce. Prepotente, all’improvviso. Presente. La danza dei rimpianti disegna traiettorie curve, ampie. Leggere. Il peso, quello è piombo sul cuore. Ballare non basta a scacciare il dolore. Servisse almeno a riportarla, la vita. Il tempo del tempo, andato fuggito perduto, traccia linee di fuga sul volto smarrito straniero sbattuto. E i pensieri scivolano via senza più lacrime. Lacerati. L’ultimo rifugiato è lei. Sola in un capannone, residuo remoto di giorni sognati, orfani di bimbi volati nel nulla, figli divorati dal mare (un ultimo sguardo), persi all’orizzonte (il battito selvaggio), tornati come pupazzi a cavallo di onde. A giocare sulle rive del nostro rimorso. Senza più amore. Senza calore.

Is This the Life We Really Want? È questa la vita che vogliamo veramente? Pensiamoci. Intanto è il titolo dell’ultimo lavoro di Roger Waters, il poeta rock di qualsiasi contemporaneità, vent’anni per segnare l’epopea dei Pink Floyd e farne un mito e poi via, altra carriera, nuovi giri, da solista. Ora il ritorno con un album in studio. Il precedente è del 1992, un quarto di secolo fa. Questo è tempo di altri animali (Animals), di nuovi muri (The Wall), e nel mirino finisce mister president, Donald Trump. Chissà perché. Comunque, arriviamo al punto: dodici tracce, due singoli ad anticipare il lavoro e ora il terzo, “The last refugee”, sonorità “pink”, l’unico fin qui con video, storia intensa, unica interprete, volto espressivo, movenze sapienti. È una ballerina la donna sbarcata, in fuga dal suo passato, devastato travolto ucciso, come la sua bimba, persa nella traversata. Una bambola smarrita. Ed eccolo, il punto: protagonista del corto è Azzurra Caccetta, 33 anni, nata a pochi chilometri da Lecce, Trepuzzi, e da sei anni a Londra. Attrice, ballerina, performer. E bravissima, detto extra-curriculum.

Domanda: ma che ci fai al di là della Manica? Domanda suppletiva: e soprattutto, che ci fai nel video di Roger Waters? Sorride. Se hai presente il volto e senti la voce, puoi immaginarti l’espressione felice. Londra è la mia città, dice. Nessuna fuga: l’Italia è un paese meraviglioso, ricco d’arte, pieno di talenti. Ma questo luogo esercita da sempre un fascino profondo su di me: potrei dare mille spiegazioni, ma ne vale solo una: Londra mi rappresenta. Qui sei a contatto con il mondo. Anche ora che vive momenti difficili, il terrorismo, la Brexit, la sento dentro di me: sono consapevole della realtà e del contesto, ma non voglio avere paura. E quanto al resto, qui gli europei continentali sono la maggioranza: accoglienza e rispetto restano immutati. Un posto unico. L’ho vista per la prima volta a quindici anni: avevo un’amica di “penna” alle scuole medie, ci siamo scambiati le visite con le nostre famiglie. È stata una folgorazione. Di più, una conferma: a otto anni avevo già detto ai miei che da grande avrei vissuto all’estero.

Precoce. E profetica. I primi passi di danza a Trepuzzi, con Enza Curto, a tre anni e mezzo. Poi la trafila delle scuole, dell’obbligo e superiori (Lingue al “Siciliani”, se estero deve essere bisogna prepararsi per tempo). Infine lo sbarco a Roma, danza, recitazione, musical theatre e laurea (indoviniamo? “Lingue e culture straniere”). Sono attratta da tutto quello che è diverso, lontano, altro da me, aggiunge. Lo scambio di idee e la possibilità di vedere le cose da un nuovo punto di vista, da una prospettiva inedita, mi stimolano moltissimo. Roma è Roma. Ma Londra chiama. A 28 anni il salto, nel buio. Nessun contatto, nessun lavoro. Ma la vita le ha dato in sorte tenacia e salde radici, con una famiglia a misura dei suoi sogni, padre architetto (Giuseppe), madre casalinga (Oronzina) e sorellina artista come lei (Cristel, che vive tra Roma e Torino e ha appena finito di girare un film col duo comico Nuzzo e Di Biase, “Vengo anch’io”). Sono infinitamente grata ai miei genitori, racconta. La voce si incrina. L’emozione pizzica. Papà, un sognatore, mi ha insegnato a conquistare e a difendere la libertà e non ha esitato a iscrivermi a danza quando ha intuito quale fosse il mio irresistibile desiderio di esprimermi: contava che io fossi felice e ha nutrito sempre la mia fiducia in me stessa, requisito fondamentale per digerire i “no”. Mamma, invece, mi ha insegnato la disciplina e la perseveranza: ha servito la sua famiglia come il più fedele dei soldati. Quando sarà, vorrei essere come lei. Intanto Azzurra ha un compagno, astenersi bellimbusti perditempo. Fine del quadretto familiare. Ultima annotazione, solo per rimarcare il lato “creativo”: il nonno, Giovannino Caccetta, ha lanciato la “Puccia” leccese, facendone un brand. Autru ca fish and chips, per dire.

Londra, arriviamo. Primo anno difficile. Poco lavoro, pochi soldi. Ho provato la solitudine, confida, ho pensato di tornare. Ma la ragazza è tenace (ricordarsi di mamma), la libertà va difesa (ricordarsi di papà). Arrivano i primi impegni, le prime soddisfazioni: il palco della Royal Opera House e quello dell’English National Opera; i film e i cortometraggi. Un compendio in showreel, per gli estimatori, è su Vimeo.com, cercare con nome e cognome. Ma se siete ancora qui, continuate a leggere. L’avventura è al suo acme. La mia agente, racconta Azzurra, mi ha proposta a un casting director per il video di Roger Waters. Era lo scorso aprile, cercavano la protagonista. Volevano tratti somatici mediorentali. I miei, molto mediterranei, un po’ lo sono. Avevo delle chances. Provino, da attrice e danzatrice; mi richiamano il giorno seguente per vedermi di nuovo. Scopro solo dopo che mi avevano selezionata al primo colpo; volevano essere certi. Sul set il regista, Sean Evans. Roger dà l’ok dopo aver visto e seguito tutto a distanza. Gli scrivo su Twitter, mi risponde con un cuoricino. Cos’altro si può volere?

Riprese dopo una settimana: esterni sulla spiaggia di Camber Sands, sud-est britannico; interni in un vecchio edificio di Londra. Se lo avete visto, sapete. Altrimenti cercatelo. Non ora, ché siamo al finale. Dunque: montaggio, pubblicazione, successo. Wow! Eccoci. Io come tipo sono estremamente autocritico, dice lei: quando ho visto il lavoro ultimato mi sono chiesta se in fondo fossi stata all’altezza del compito. Su quella canzone ci ho danzato cinque ore per un video di quattro minuti, facendomi prendere dalla musica oltre l’aspetto folclorico e i caratteri popolari che ero chiamata a interpretare. Ma alla seconda visione ho pianto. E alla terza pure. Dirlo sembra facile, perché ne faccio parte, ma è un lavoro bellissimo. L’idea è questa, rendere visibile la parte nascosta del dramma: i rifugiati, i profughi, i migranti, la loro vita precedente, a volte normalissima, altre travagliata, e comunque sempre persone con storie, sentimenti, passioni, dolori. Desideri. Un attimo prima di perdere tutto.

Come Aylan, fuggito da Kobane, dalla Siria e dall’Isis, naufragato con la famiglia, morto a tre anni con la mamma e il fratellino su una spiaggia turca, a Bodrum, una mattina di settembre, due anni fa. Maglietta rossa, pantaloncini blu. Solo il mare ad accarezzarlo.

Pausa. Un’altra. Serve a riprendere fiato. Domanda: cosa resta? Tanto, spiega Azzurra. È un’esperienza che mi ha arricchita moltissimo. Lavorare con persone di questo livello è il sogno della vita. Ma non mi monto la testa. Ride. I media hanno cominciato a interessarsi di lei, però questa è la prima intervista (eh eh). E poi (scooooop) la produzione le ha proposto un secondo video per lo stesso album, già realizzato e pronto a uscire (la data resta top secret). Essere al servizio di Roger Waters è stato per me un grandissimo onore, conclude, non solo per quello che lui rappresenta nel panorama mondiale della musica ma soprattutto perché - come lui - anch’io credo in una visione del mondo senza più rifugiati. Senza dolore e caos. La sofferenza degli altri è anche la nostra.

Orfano dei bimbi lasciati morire, il futuro incagliato alle porte di casa. Neppure più l’onda culla il silenzio quando il respiro sfiorisce sulle guance bagnate. Se tornerà un’alba senza vuoti d’amore rivivremo assieme di nuova speranza. L’ultimo sguardo al mare. L’ultimo rifugiato.
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