Michele Riondino: «Racconto i confinati della Palazzina Laf»

Michele Riondino: «Racconto i confinati della Palazzina Laf»
di Eleonora MOSCARA
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Martedì 21 Novembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 24 Novembre, 20:49

Il caso dell’ex Ilva rappresenta una ferita aperta nel cuore del Meridione italiano. La città di Taranto è divenuta un luogo quasi irreale in cui per tanto tempo è risultato naturale sovrapporre perfettamente la quotidianità agli evidenti gap come i morti sul lavoro, il problema occupazionale, l’inquinamento ambientale, le acciaierie. Parte da fatti realmente accaduti l'idea del film dell’attore tarantino Michele Riondino che per la prima volta dirige un film intitolato “Palazzina Laf”: Laf è acronimo di laminato a freddo e l'edificio che ne porta il nome è stato nel 1997 il posto nel quale i dirigenti dell’Ilva di Taranto, confinarono ben 79 impiegati che si erano opposti alla cosiddetta “novazione”, ovvero al demansionamento stabilito dalla riorganizzazione aziendale per contrarre il personale. La Palazzina Laf era il luogo dove ingegneri, informatici, segretarie vennero spediti a non fare niente, a meno che non accettassero di essere reimpiegati come operai, negli altoforni. La pellicola sarà in tutti i cinema italiani a partire dal 30 novembre.

Film tratto da un libro di Leogrande

Riondino oltre che regista e attore, in questo film è anche per la prima volta sceneggiatore accanto a Maurizio Braucci (“La paranza dei bambini”, “Martin Eden”). Il film è tratto da “Fumo sulla città”, libro di Alessandro Leogrande. Riondino sarà anche nel cast insieme a Elio Germano, Vanessa Scalera, Domenico Fortunato, Gianni D’Addario, Michele Sinisi, Fulvio Pepe, Marina Limosani e Eva Cela. Tra le partecipazioni speciali anche Anna Ferruzzo e Paolo Pierobon.

Palazzina Laf è ambientato a Taranto nel 1997 e racconta attraverso gli occhi di Caterino, un operaio dell’Ilva, uno dei più gravi casi di mobbing della storia italiana.

Nel tuo primo lavoro da regista racconti una delle ferite aperte della tua città, lo fai con la tua arte. Come sei arrivato a questa decisione?

«La decisione in realtà è stata presa sette anni fa. In tantissime occasioni ho parlato della questione tarantina ma non l’avevo mai fatto con la mia grammatica o con la mia arte. Lo slancio arriva dall’atteggiamento di molte persone tra sindacalisti e politici che si sono sempre sentiti chiamati in causa e che, in tutti questi anni, mi hanno sempre detto di pensare a fare il mio lavoro, a fare i film, piuttosto che occuparmi di politica. Per me l'idea di fare un film su questo era diventata necessaria».

Come ti sei documentato?

«Tutto quello che c'è nel film, tutte le battute, tutti i personaggi sono tratti dalla mia lunga ricerca che mi ha visto cercare e intervistare i veri confinati, i lavoratori, gli operai e tutti coloro che osservavano da fuori. Ma anche i procuratori generali, gli psichiatri che hanno in cura i confinati, e poi ho riportato i contenuti delle sentenze e delle carte processuali».

Il tuo obiettivo era quello di rendere ancora più popolare la realtà tarantina?

«Oggi noi siamo abituati a parlare dell'ex Ilva di Taranto, da un punto di vista occupazionale, ci bombardano con tutti questi numeri fantomatici della produzione o della cassa integrazione. Siamo abituati ad affrontare la questione dal punto di vista ambientale, c'è la dicotomia salute - lavoro. Abbiamo tanto bisogno di decidere se morire di cancro o morire di fame, come se si potesse morire di fame nel 2023. Il problema è lì: non si tratta di inquinamento ambientale ma di inquinamento psicologico e umano. E la palazzina Laf rientra esattamente in questo tipo di inquinamento, è stato il primo caso di mobbing riconosciuto in Italia e questo è importante che lo sappiano tutti».

Caterino, il protagonista, viene utilizzato come spia per individuare i lavoratori di cui sarebbe bene liberarsi. Lui stesso verrà trasferito alla Palazzina Laf dove scoprirà sulla propria pelle che quello che sembra un paradiso, in realtà è un inferno. Com’è stato interpretare il suo ruolo?

«All'interno dell'acciaieria si viveva una strategia della tensione, una vera e propria gladio, dove i fiduciari di Emilio Riva erano quell'esercito che determinava le assunzioni, i licenziamenti e i confinamenti. Ecco lì nasce l'inquinamento delle coscienze, delle psicologie, attraverso il quale poi negli anni si è arrivati ad oggi ad avere l'impossibilità di considerare di ipotizzare il nostro futuro senza quella fabbrica. Caterino è l'unico personaggio di invenzione. Tutti gli altri personaggi sono la trasposizione cinematografica di persone di cui ho testimonianza. Attraverso questa figura interpreto la mia critica personale nei confronti di una parte della categoria dei lavoratori del siderurgico e una parte anche della cittadinanza. Coloro che ancora oggi continuano a difendere e a schierarsi dalla parte del padrone, piuttosto che dalla parte delle vittime. A Taranto si tende a pensare che il profitto sia molto più importante della vita umana e infatti mi sento spesso dire che sputo nel piatto in cui mangio, ma se il piatto in cui ho mangiato è composto di pane e veleno, allora non credo di dover ringraziare proprio nessuno».

C’è anche Diodato insieme a te in questo viaggio. Un altro tarantino che si schiera dalla parte delle vite umane.

«Antonio Diodato con il brano “La mia terra” ha dato un contributo molto importante al film e io invito il pubblico a restare seduto durante i titoli di coda per ascoltarlo interamente. Abbiamo deciso di inserirlo alla fine proprio perché rappresenta un sunto. Il brano di Antonio racconta la nascita del mito di Taranto fino ad arrivare ai giorni nostri».

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