Mia madre, Nanni Moretti vince la partita impossibile contro il dolore e la malattia

Mia madre, Nanni Moretti vince la partita impossibile contro il dolore e la malattia
di Fabio Ferzetti
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Lunedì 13 Aprile 2015, 21:14 - Ultimo aggiornamento: 15 Aprile, 17:47
Nanni Moretti affronta e rielabora la malattia di sua madre, per decenni amatissima professoressa di latino al liceo Visconti, in uno dei suoi film più sorvegliati e toccanti. Prima mossa giusta: affidare il ruolo della protagonista a Margherita Buy, tenendo per sé la parte quasi di spalla del fratello ingegnere, anima razionale del film. È la Buy infatti a fare la regista, come in tanti altri fim di Moretti, da Sogni d’oro a Il Caimano.



È lei a farsi carico delle tipiche angosce e nevrosi morettiane. Lei che sta girando il classico film impegnato italiano su una fabbrica che chiude, con Turturro nei panni del “padrone” americano. Lei, ancora, che dà vita agli inconfondibili momenti ilarotragici a cui il cinema dell’autore di Ecce Bombo ci ha abituati da sempre, ma con un surplus inedito di drammaticità, alla resa dei conti, che la presenza di Moretti probabimente avrebbe inibito.



Seconda mossa giusta: la presenza di John Turturro. Il grande attore e regista italoamericano, sempre pronto alle trasferte italiane, fa infatti un divo (o ex divo) fatuo, smemorato, incapace di ricordare una sola battuta (ma pronto a rimorchiare quella bionda venuta a prenderlo all’aeroporto senza capire che si tratta della regista!), e i suoi scontri continui sul set garantiscono al film il contrappunto comico di cui la storia ha bisogno.



Terza mossa giusta: Giulia Lazzarini. Signora del teatro italiano, poco frequentata dal nostro cinema, sempre avaro con chi calca i palcoscenici, l’attrice milanese poco a poco si impadronisce quasi del film. Dopo tutto è la sua malattia a essere in primo piano, è il suo atteggiamento verso quella madre, sempre così discreta e amorevole che fa emergere la vera personalità della Buy, le sue rigidezze, le sue nevrosi.



Ed è proprio l’imminenza di quella morte a scatenare un gioco di sogni, ricordi, fantasie, che tra set e ospedale, passando per la casa ormai deserta della madre malata, ci porta dentro tutti i personaggi del film, con leggerezza e insieme con profondità, ma soprattutto con una maturità e una consapevolezza nuove nel cinema di Moretti. Mai così a suo agio nel tenere insieme tanti personaggi, proprio perché ha l’intelligenza di farsi da parte. Senza rinunciare ai suoi tratti più tipici.



Sono molte le scene e le battute che passeranno in proverbio («perché mi date sempre retta? Il regista è solo uno stronzo a cui permettete di fare qualsiasi cosa!», urla la Buy alla troupe rendendosi conto di aver impostato una scena impossibile da girare). Dopo il grande affresco - metafora di Habemus Papam, di nuovo un film palesemente autobiografico insomma. Senza grandi invenzioni o novità formali ma con una concentrazione, un’energia, un controllo nuovi.
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