Nell'Anfiteatro le Luci della Centrale Elettrica

Nell'Anfiteatro le Luci della Centrale Elettrica
di Ennio CIOTTA
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Venerdì 18 Agosto 2017, 20:30 - Ultimo aggiornamento: 19 Agosto, 05:30
Le Luci della Centrale Elettrica stasera in concerto nell'Anfiteatro Romano di Lecce per la data off speciale del festival SEI - Sud Est Indipendente Festival. Vasco Brondi approda in Salento con il nuovo album Terra, quarto disco di inediti, uscito a marzo del 2017, dopo Canzoni da spiaggia deturpata (2008), Per ora noi la chiameremo felicità (2010) e Costellazioni (2013). Prodotto artisticamente da Vasco Brondi e da Federico Dragogna, l’album è composto da dieci brani: dieci trame per unico filo colorato, tessuto nel modo visionario e lucido che ha reso Vasco Brondi uno degli artisti italiani più riconosciuti e riconoscibili degli ultimi dieci anni, e che in Terra si dimostra capace di raccontare i cambiamenti culturali e sociali che hanno contraddistinto gli ultimi decenni attraverso una musica che sempre di più sposa l’attitudine cantautorale con i suoni e i ritmi del mondo.

Come nasce il tuo ultimo album?
 
L’idea era quella di fare un disco che fosse come una sorta di cartolina da spedire nello spazio da me e dall’Italia di adesso, come se fosse un modo di presentarsi a chi non sa niente di questo posto e di questo tempo. Per questo mi viene da definirlo un disco etnico ma di un’etnia immaginaria che è quella italiana di adesso, la nostra identità in transizione. Musicalmente si mischiano tamburi africani e melodie balcaniche, distorsioni e canti religiosi, techno araba e ritmi sudamericani. Il tutto modo filologicamente sbagliato, non è un disco di world music è un racconto corale. Queste musiche hanno attirato da sole le storie del disco, di fughe e di ritorni da ogni direzione verso ogni direzione. Sono storie piene di tutte le contraddizioni degli essere umani, è una lista delle sue contraddizioni, lo stesso essere umano che inventa le armi di distruzione di massa e anche le canzoni d’amore.
 
Secondo te in che epoca stiamo vivendo?
 
È un'epoca di transizione come tutte le epoche. Tra le altre cose passa il fatto che sia più bello e interessante criticare che creare, passare il tempo a fare battutine su Internet. In questo ultimo disco ho scritto un pezzo che si chiama Iperconnessi che parla anche di questo: alla fine dice che forse siamo qui adesso per rivelarci e non per nasconderci.
 
Cosa vedi dal palco? Qual'è il pubblico di Vasco Brondi?
 
In dieci anni sono cambiate molte cose: ad esempio prima guardavo il pubblico al di là della transenna e rivedevo me stesso, adesso il pubblico si è molto ampliato vedo gente di tutte le età. Soprattutto, ci sono anche ragazzi molto più giovani di me, che sento diversi, ed è anche una bellissima sensazione per quanto straniante. Quando ci parlo dopo i concerti mi stupiscono i loro gusti musicali, per esempio.
Un tempo i confini erano più rigidi: io ascoltavo i CCCP e gli Afterhours, la scena indipendente insomma, e poi al massimo De Gregori e Battiato, loro invece postano sui social network il biglietto del mio concerto e magari quello di un loro coetaneo che fa hip hop. Però c'è una cosa che non cambia nelle diverse generazioni: anche se ascoltano musica che io non capisco, al di là delle parole, al di là della stessa musica, quello che conta per tutti è che dentro ci senti la vita, il cambiamento, la prospettiva di qualcosa di diverso che va in risonanza con ciò che hai dentro
 
Cosa consiglieresti a un giovane cantautore?
 
Io ho iniziato a lavorare in un bar che avevo diciotto anni e sono andato via da casa e intanto suonavo, a un certo punto ho deciso di chiudermi tutte le vie di uscita di emergenza e continuare solo nella direzione della musica ma non è un consiglio che mi sento di dare agli altri, semplicemente mi sembrava di non avere alternative a quello che faccio adesso. Era un futuro improbabile ma che è arrivato. Il consiglio che mi sento di dare è quello che dava a tutti Andrea Pazienza: “viscere sul tavolo”. Sincerità fino in fondo.
 
Che concerto vedremo a Lecce?
 
Nella formazione per questo tour ci sono Marco Ulcigrai alle chitarre, Angelo Trabace al pianoforte e sintetizzatori, Matteo Bennici al basso e al violoncello e Giusto Correnti alle percussioni, oltre a me alla voce e alla chitarra acustica. L’idea era quella di creare una formazione anche abbastanza classica del rock ma per fare qualcosa di diverso, lavorare su altre scale e altre sonorità e altre ritmiche per suonare questo strano disco etnico.
C’è una nuova scaletta rispetto al tour nei club, si mischiano le sonorità dei dischi precedenti a quelle di Terra, ci sono momenti orchestrali e canzoni suonate da solo, da ballare scoordinati o ballare stando fermi, cassa dritta o piano e voce, canzoni che hanno una nuova veste e altre che sono tornate a quella che avevano quando le ho scritte in solitaria con la chitarra e che cambiano ogni sera.
Credo che per quanto si possa lavorare a un disco, in questo caso almeno un anno e mezzo, poi le canzoni trovano la loro vera voce direttamente sul palco, si assestato in furgone tra un concerto e l’altro. I concerti in un modo diverso dalla scrittura sono un modo di esprimersi e di liberarsi di qualcosa in modo bellissimo. Sono sempre un rito liberatorio.
 
Se ti dico "Puglia" a cosa pensi?
 
Ho iniziato a fare concerti in Puglia quasi da subito quando ho iniziato a suonare 10 anni fa e da subito mi hanno sorpreso: avevo scritto un disco che parlava di un chilometro quadrato della mia città, Ferrara, e dei miei 4/5 amici e lì, da tutt'altra parte d'Italia, vedevo persone che la cantavano a squarciagola. E' stata da subito una grande emozione. Anche adesso sono molto contento di tornarci, è sempre una sorpresa trovare tutto quel calore e attenzione. 
 
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