Xylella, imprese al collasso, a rischio molti posti di lavoro
«Costretti a delocalizzare»

Xylella, imprese al collasso, a rischio molti posti di lavoro «Costretti a delocalizzare»
di Maria Claudia MINERVA
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Venerdì 5 Maggio 2017, 21:57 - Ultimo aggiornamento: 22:02

Prima ha divorato gli ulivi, cambiando il volto di un paesaggio riconoscibile in tutto il mondo per la maestosità dei suoi alberi, architetture spontanee ridotte a sparuti rami secchi. Ora, oltre ai vasi xilematici delle piante, a risentire dei pericolosi effetti della xylella fastidiosa è anche il tessuto produttivo ed economico, ormai al tracollo. Che si tratti di olio o barbatelle di vite non fa differenza: chiunque abbia investito in questi settori adesso è alla canna del gas. Fallito qualsiasi tentativo di interlocuzione istituzionale - Governo, Regione, Comunità Europea - per gli imprenditori olivicoli e per i vivaisti del Salento sono rimaste poche strade da percorrere, essenzialmente due: la chiusura dell’azienda o la delocalizzazione. In entrambi i casi il prezzo da pagare è altissimo, si sbriciolano capitali e forza lavoro. In poco meno di tre anni sono state cancellate le storie di tante imprese che hanno messo secoli per farsi un nome e accreditarsi sui mercati mondiali. L’infezione, come uno tsunami, ha travolto tutto. Irrimediabilmente.
Gli imprenditori più coraggiosi stanno tentando di giocare l’ultima carta, quella della delocalizzazione, sperando in una sorte più benevola. Mario Tenore, il produttore di barbatelle di Otranto che ha scelto di andare via dalla Puglia - motivo per cui sarà costretto a licenziare i suoi 13 dipendenti - come ha scritto nella lettera pubblicata ieri dal nostro giornale, non è il solo ad aver preso questa direzione. Prima di lui, un altro vivaista, Luigi Rizzo, anche lui otrantino, ha deciso di delocalizzare la produzione fuori dalla Puglia, dopo lo stop alle esportazione nei Paesi extraeuropei.
«Come il collega Tenore, ho scelto di andare via dalla Puglia - conferma Rizzo, titolare della “Vivai Luigi Rizzo” di Otranto -. Da settembre ho spostato il mio vivaio in Basilicata, non senza sacrificio, giacché l’operazione mi è già costata 100mila euro, ma non c’erano alternative. Ho sempre esportato in Marocco, Libano, Algeria, ma da quando c’è la xylella nessuno vuole più le nostre barbatelle, nemmeno quelle trattate con la termoterapia. Per me l’unica soluzione era andare fuori regione». Detto, fatto.
Rizzo ha preso armi e bagagli e, pur mantenendo una piccola parte del vivaio di Otranto, ha preso in affitto un terreno in Basilicata e ha dato vita a una nuova azienda. «Si chiama “Bernalda Vitis” in onore del territorio di Bernalda in provincia di Matera, che mi ospita - spiega il vivaista -. Per ora la sede amministrativa resta in Puglia, mentre la fase finale che riguarda l’estirpazione delle piante e la messa nei cartoni si fa in Basilicata, che essendo una Regione protetta garantisce ancora di più la mia impresa». Trasferirsi non è stata una passeggiata. «L’ho fatto a malincuore, ho già speso tanti soldi solo per rimettere in sesto il terreno e impiantare il vivaio - dice ancora Rizzo -, poi ho dovuto prendere un alloggio per quando devo restare lì e quindi devo anche pagare un affitto. Non solo. Devo pure garantire un alloggio a qualche operaio che porto con me perché ha più esperienza. Purtroppo ho dovuto licenziare 4 dei 15 dipendenti che avevo a Otranto, ma non potevo fare diversamente. Se la situazione pugliese cambierà sarò il primo a tornare, ma ora non posso mandare all’aria anni di lavoro».
Il tracollo per il comparto vivaistico salentino - che fattura 20 milioni di euro l’anno, con una produzione di 12 milioni di piante e 70mila giornate lavorative garantite all’indotto - è arrivato infatti con l’embargo dei Paesi europei ed extraeuropei, che hanno bloccato qualsiasi esportazione di piante partite dalla Puglia, sebbene sia stato dimostrato, anche scientificamente, come la xylella fastidiosa, sub specie pauca diffusa in Puglia, non intacchi la vite. Nemmeno il trattamento con la termoterapia imposto dall’Ue è riuscito a sbloccare l’export. Così ai produttori di barbatelle non è rimasto che orientarsi a un mercato locale o impiantare un’azienda ex novo in altre parti d’Italia.
«Se continua così saremo costretti tutti a delocalizzare, non ci sono altre alternative - sottolinea Antonio Longobardi, anche lui titolare di un’azienda vivaistica a Otranto, che garantisce 5mila giornate lavorative ai 35 operai assunti. «Per il momento possiamo lavorare solo con il locale, ma questo ci fa solo sopravvivere, non possiamo continuare così. Per conquistare i Paesi extraeuropei ci ho messo dieci anni e ora la xylella ha distrutto tutto, abbiamo perso in denaro e in immagine. Senza una svolta la strada è segnata, saremo costretti a delocalizzare la nostra produzione».
Non va meglio per i produttori olivicoli e non c’è «mal comune mezzo gaudio» che tenga. Un mese fa la marcia su Lecce con i trattori accese i riflettori su 400 aziende ormai vicine al tracollo e 140mila ettari olivetati tra le province di Lecce, Brindisi e Taranto ormai infettati dal batterio. «Dal giorno della marcia nulla è cambiato - si sfoga Maria Antonietta De Pascalis, che ha un’azienda olivicola con annesso frantoio in località Palmariggi -. Nel ‘98 ho rilevato l’azienda di mio padre con tanto entusiasmo, ma in due anni la xylella ha distrutto tutto il mio lavoro. In 20 anni siamo passati di 24 operai a uno solo. Gli ulivi seccano, il frantoio ha aperto solo 20 giorni e le banche non ci danno tregua, il destino ormai è segnato».
A rischio sopravvivenza anche molte cooperative olearie del Salento, alcune per il crollo della produzione sono state costrette a vendere anche i macchinari. «La situazione è molto difficile - conferma Giuseppe Pisanello, presidente di Coopolio - tra le 19 cooperative che fanno parte del consorzio ben 13 si trovano nella fascia ionica e perciò stanno soffrendo perché non ci sono più olive da molire e, quel che è peggio, non ce ne saranno per gli anni a venire».

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