«Le piante di leccino resistono alla xylella». I produttori chiedono una deroga sul reimpianto. Boscia cauto

«Le piante di leccino resistono alla xylella». I produttori chiedono una deroga sul reimpianto. Boscia cauto
di Maria Claudia Minerva
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Sabato 30 Maggio 2015, 10:30 - Ultimo aggiornamento: 10:31

Xylella fastidiosa: si entra in quella che il Comitato “Voce dell’Ulivo” chiama la “fase 2.0”, ossia la «svolta importante» che impedirà al Salento «di diventare un deserto per colpa del batterio che ha divorato gli ulivi salentini». Una nuova strada, dunque, che potrebbe aprire nuovi scenari rispetto a quel futuro del comparto olivicolo che ora appare catastrofico. Lo hanno detto ieri mattina, nel corso di una conferenza stampa convocata a Palazzo Adorno, a Lecce, i rappresentanti dell’Alleanza dei produttori, che nell’ultimo periodo, anche su segnalazione dei loro associati, hanno fatto centinaia di perlustrazioni nelle campagne salentine, visionando più di 9mila piante tra Alliste, Casarano, Racale, Tuglie, Melissano, Taviano, Parabita, Matino, Sannicola, Alezio e Gallipoli, e scoprendo così che tutti gli ulivi di varietà “Cellina di Nardò” o “Ogliarola” sono disseccati e stanno per morire a causa della xylella, mentre le piante della specie “Leccino”, nonostante la presenza del batterio, sono intatte e continuano nella loro normale produzione, dimostrando una grande resistenza al batterio.

«Stiamo girando in lungo e in largo in tutto il Salento - ha spiegato il portavoce dell’Alleanza di produttori che fa capo alla “Voce dell’Ulivo”, Giovanni Melcarne - e il dato che è emerso è inconfutabile: gli alberi di “Ogliarola” o “Cellina” infettati dal batterio stanno morendo inesorabilmente, mentre il “Leccino” no».

Anche quando la comparazione tiene conto di fattori come l’età e l’esposizione il risultato non cambia: il “Leccino” è più resistente e produce, anche in presenza del batterio. Come si è detto le piante visionate sono state in tutto 9.048, di cui 2.410 erano di “Ogliarola” o “Cellina”, 5.147 di “Leccino”; la restante parte facenti parte alle specie “Carolea” (700 piante) o “Frantoio” (791 piante).

«Ma a fronte di queste 9mila piante da noi visionate, altrettante ci sono state segnalate dagli agricoltori, anche se non abbiamo ancora avuto il tempo di andare a vedere di persona - ha aggiunto Melcarne -, però presentano le stesse caratteristiche riscontrate degli ulivi che abbiamo visto noi». Ma le novità portate dalla “Voce dell’Ulivo” vanno oltre la varietà “Leccino”, infatti secondo i rappresentanti del Comitato c’è anche un’altra specie che dimostra di resistere al batterio: la cosiddetta “Frantoio”, che per di più impollina, a differenza del primo, che invece ha bisogno di essere impollinato, perché da solo non riesce ad autoprodursi. Dati questi che potrebbero far tornare la speranza, ma che ovviamente, hanno bisogno del conforto scientifico.

Alla luce del monitoraggio che ha prodotto questo risultato, l’Alleanza di produttori, però, è pronta a chiedere la deroga all’Unione Europea «sul divieto di reimpianto - hanno sottolineato all’unisono Melcarne, Enzo Manni e Daniela Specolizzi in rappresentanza del Comitato “Voce dell’Ulivo” -. Al posto degli alberi morti per la xylella, noi vorremmo, anzi lo faremo anche se l’Ue non ci concederà la deroga, impiantare sia il “Leccino” che la varietà la “Frantoio”, solo così impediremo al Salento di trasformarsi in un deserto, eventualità molto concreta, se si considera come sta galoppando l’epidemia. Ora, però - hanno aggiunto - c’è bisogno che la politica faccia il resto per verificare questo dato e agire di conseguenza. Altrimenti procederemo, nessuno potrà impedirci di piantare gli ulivi, non potranno certo arrestarci». Però, per inosservanza della “Decisione di esecuzione” dell’Ue potrebbe, però, scattare una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, che ricadrebbe su tutti i cittadini. «Noi non ci fermeremo, questo è sicuro - hanno ribadito dal Comitato - siamo molto fiduciosi anche perché la ricerca del Cnr di Bari è molto avanti, in ogni caso non vogliamo nemmeno entrare in merito a quello che fanno gli studiosi, vogliamo solo garantire un futuro a questo territorio. Quindi chiederemo prima alla politica che questo discorso si possa accertare e poi noi andremo a reimpiantare sulle piante malate quelle che resistono al batterio. Delle decisione dell’Ue non ce ne importa nulla, i terreni sono nostri, il Salento senza ulivi morirà, non permetteremo mai che questo accada».

Nel frattempo, si proseguirà anche con l’altro progetto, quello del Parco della ricerca, “Un Getsemani in Salento” proposto dalla Voce dell’Ulivo (su un’idea del professor Donato Boscia, capo del Cnr di Bari), per il quale proprio due giorni fa la Regione Puglia ha stanziato due milioni di euro. «Si sta pensando di impiantare 1500 varietà di ulivi (offerte dal Cra Oli di Rende, in provincia di Cosenza, e da un istituto di Cordoba) nella zona infetta di Gallipoli, questo sarebbe l’ideale, ma servirebbe una superficie enorme. Se questo non fosse possibile, però, si potrebbero impiantare solo le linee genetiche, all’incirca 150, in questo modo si ridurrebbe l’area necessaria e consentirebbe al progetto di viaggiare più spedito».

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