Patto sui call center, svolta in Puglia

Patto sui call center, svolta in Puglia
di Nicola QUARANTA
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Sabato 6 Maggio 2017, 22:30
Call center, è svolta: da Roma a Bari. Giovedì la firma a Palazzo Chigi del protocollo di intesa siglato da tredici aziende committenti per porre alcuni principi cardine per il settore. Ieri, invece, l’accordo tra la Cgil Puglia e la “Cellulopoli” srl di Terlizzi (Bari), che apre nuove prospettive per i duecento dipendenti dell’azienda e scenari più sereni per i 10mila addetti che operano nelle imprese presenti su scala regionale, da Foggia sino al Salento, dove ruotano diverse imprese, un indotto di circa 5mila addetti, tra dipendenti e collaboratori e almeno tre imprese con più di cinquecento lavoratori al proprio interno: “Comdata” a Cavallino (1.300), “Call & call” a Casarano (600) e “Transcom” a Lecce (450). Numeri altrettanto di peso anche Taranto, dove peraltro la stessa Cgil ha più volte denunciato anche le condizioni di sfruttamento di alcuni lavoratori del settore. L’ultimo caso soltanto poche settimane fa, con la scoperta di lavoratori sottopagati in un call center che opera per grandi committenze nazionali. Il centro, secondo l’organizzazione sindacale, retribuirebbe i dipendenti con “la misera e offensiva somma” di 2,50 euro per ogni ora di lavoro. Questo il sommerso. Alla luce del sole, invece, il cambio di passo. E di colpo la speranza per migliaia di “precari” di affrontare “tutta la vita davanti” con maggiori garanzie. 
Il primo intervento lo ha compiuto il governo. Eni, Enel, Poste Italiane, Wind 3, Ferrovie dello Stato, Tim, Fastweb, Intesa San Paolo, Ntv, Mediaset, Unicredit, Vodafone, Sky hanno sottoscritto un accordo (che resta aperto a nuove adesioni) sotto lo sguardo del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e del ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda. Con questo documento viene tra l’altro limitata la delocalizzazione fuori dal territorio italiano garantendo che «il 95% delle attività effettuate in via diretta sia effettuato in Italia entro 6 mesi dalla stipula» e «per i nuovi contratti, almeno l’80% dei volumi in outsourcing sia effettuato sul territorio italiano, fermo restando il vincolo a non ridurre la quota attuale qualora superiore a tale valore». Un passo accolto con soddisfazione dai sindacati. «Importantissimo. Deve essere un’occasione per la Puglia per consolidare l’esistente e provare ad attrarre nuovi investimenti», sottolinea non a caso il segretario regionale della Cgil Puglia Giuseppe Gesmundo. Altrettanto importante, evidentemente, il patto messo in cassaforte dall’organizzazione sindacale ieri in provincia di Bari, con il call center di Terlizzi. Intesa grazie alla quale oltre duecento lavoratori sono passati da un contratto collettivo nazionale stipulato con Assocal e Ugl Terziario Nazionale - non conforme alla regolamentazione del settore, afferma la Cgil - all’applicazione del Ccn delle telecomunicazioni. Lavoratori che guadagnavano 450 euro lordi, per 900 chiamate utili, beneficeranno così di un contratto full time, che garantirà loro circa 1200 euro al mese. Il nuovo accordo prevede, nello specifico, una retribuzione oraria crescente del 10 %, ogni anno, sino al primo gennaio 2019; data a partire dalla quale i lavoratori co.co.co potranno ricevere un salario pari a quello di un lavoratore subordinato come previsto dal Ccnl di settore. Un miglioramento significativo in termini economici, ma anche rispetto alle tutele contrattuali e al welfare.
«La Puglia - spiega Gesmundo - è stata per un lungo periodo, almeno dagli anni 2000, un territorio decisamente attrattivo per aziende di call center che hanno vissuto una lunga fase di espansione nei primi anni duemila. Possiamo contare su realtà multinazionali e importanti gruppi operanti soprattutto nelle province di Taranto Lecce Bari. Il settore conta oggi su circa diecimila addetti in Puglia su un totale di ottantamila in tutto il territorio nazionale. Quel che all’inizio era soprattutto un lavoro precario grazie alle lotte sindacali dal 2007 in poi ha visto importanti processi di stabilizzazione. Questo a dimostrazione che non è vero che chi è precario non si iscrive al sindacato e che anzi proprio l’elevata sindacalizzazione ha potuto portare ad alcune conquiste in termini di diritti e stabilità».
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