La parola ai candidati/Emiliano: i pugliesi al governo con me

Michele Emiliano
Michele Emiliano
di Francesco G. GIOFFREDI
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Domenica 16 Novembre 2014, 18:17 - Ultimo aggiornamento: 5 Dicembre, 17:35

Vuol essere tritolo sotto il palazzo regionale, Michele Emiliano. Per far deflagrare tutto: un decennio di governo vendoliano, un intero assetto di equilibri, un metodo, un approccio. Promettendo altro: “disintermediazione”, spinta dal basso, consenso a ranghi ampi. Rivoluzione, «sempre connesso con i cittadini col suo inseparabile smartphone», promette il claim della campagna. Pochi fronzoli e tanta vulcanica verve per il segretario regionale Pd, uno che da sempre bombarda ogni quartier generale. Ma che nel mirino, da anni, ha un solo bersaglio: la Regione.

Sta facendo ruotare la sua campagna attorno all’idea del “sindaco di Puglia”: è un modo per spazzar via i corpi intermedi e creare un rapporto diretto con l’elettorato? E in questo modo il programma, che lei sostiene nascerà dal basso, non rischia d’essere troppo frammentato?

«Il programma acquisterà la sua piena identità quando sarà completata la procedura di costruzione dal basso. Le mie sono solo sollecitazioni per innescare la discussione, lanciata innanzitutto sui social network, e non solo. Ieri a Martina - per esempio - 400 giovani del Pd, come alla Leopolda, hanno formulato le loro proposte programmatiche, che confluiranno poi sul sito del Pd per strutturare il programma con i circoli del partito. In tutto questo il sindaco di Puglia è un soggetto-snodo, agisce facilitando la costruzione della visione dei territori, rendendole attuabili e senza sovrapporre una propria idea di Regione. Una rivoluzione copernicana rispetto alla storia recente pugliese, in cui il governatore era ispiratore di tutte le politiche alle quali dovevano poi adeguarsi imprese, sindaci, comunità, secondo un processo di forte direzione centralizzata».

È un approccio populista? E soprattutto: così il sindaco di Puglia non finisce per essere esposto a mille sollecitazioni, anche non all’insegna dell’interesse pubblico?

«È il contrario: se il sistema è centralizzato, non esiste un argine, e si è visto. Ma l’interesse pubblico è tutelato se il processo democratico parte dal basso, è controllato dai soggetti intermedi, verificato dal partito, e arriva al presidente che è un “collettore”, non l’alfa e l’omega. Lo abbiamo applicato per dieci anni al Comune di Bari, e non c’è stato nessuno scandalo o indagato».

Così si diluiscono però le istanze di centrosinistra, aprendosi a qualunque spinta.

«Invece sono io l’unico soggetto che può tutelare le istanze della sinistra pugliese moderna. I miei avversari vengono da una tradizione diversa, quella del cattolicesimo democratico. Che è un fatto apprezzabile, intendiamoci, oltre che importante nel Pd. Ma è singolare: sono preoccupati che l’unica personalità di sinistra in campo alle primarie possa avere cedimenti».

Però vi siete tutti e tre abbandonati a una reciproca analisi del dna politico in questa campagna. Un po’ stucchevole, non crede?

«Minervini e Stefàno si presentano come vendoliani, rappresentano l’insieme di valori e risultati del sistema vendoliano. Io sono una cosa diversa: sono ispirato dagli stessi valori, ma ho una visione della politica e della tecnica di costruzione del consenso completamente diversa. L’attuale sistema regionale bada alla negoziazione con interessi specifici, loro due per esempio partono dall’agricoltura e dalle politiche giovanili, io no: parlo a tutti».

Quello che lei indica come un “accentramento” di Vendola su cosa ha dispiegato gli effetti più negativi?

«Un po’ tutte le grandi vertenze sono ancora aperte...».

Insomma: un fallimento.

«No. Magari sono stati fatti passi avanti, ma sono vertenze non chiuse: ciclo dei rifiuti, Ilva, questioni energetiche, sanità, reti infrastrutturali. Molti indirizzi della giunta Vendola sono corretti, lui è un grande leader politico, ma forse a questa grande leadership deve seguire un sindaco di Puglia, un intellettuale collettivo che traduca le intuizioni raccolta dal basso».

Spesso le viene contestato: “Emiliano, e lei dov’era in questi 10 anni?”.

«Facevo il sindaco a Bari. Ai miei avversari che così mi contestano, rispondo: allora se tutto è andato bene, è anche merito mio... Ma non credo sia così: sia delle cose andate bene, che di quelle andate male non ho alcun merito o responsabilità. Non ho mai avuto la possibilità di incidere sul governo di Nichi».

Nel suo lungo tour pugliese, quali istanze sta raccogliendo?

«La voglia di partecipare, soprattutto da parte del Pd che si è sentito escluso dal governo regionale. Vendola ha sempre prelevato gli assessori tra quanti erano a lui fedeli senza passare dal partito, tenendolo così destrutturato e ininfluente. E i cittadini, anche loro, si sentono trascurati: i pugliesi vogliono sapere su quale livello d’aiuto della Regione possono contare».

Col suo approccio il Pd rischia di essere esautorato e ai margini?

«No, i corpi intermedi per il sindaco di Puglia saranno fondamentali. Abbiamo sempre investito, anche a Bari, sulla democrazia dei partiti, aperti alle liste civiche in una osmosi continua con la società, sradicando la vecchia idea di sinistra basata sulla cooptazione».

Durante le primarie toni troppo esacerbati: è pentito?

«Ma no, sono andate bene. Una proposta come la mia, molto innovativa, ha toccato forse la sensibilità di qualcuno... Ma i pugliesi ci chiedono un cambiamento, fermo restando i valori che incarno da sempre».

Dal 1° dicembre però dovrete stare tutti insieme. O no?

«Lavoreremo insieme, senza accordi sottobanco. Anzi: sono certo che Guglielmo e Dario seguiranno i loro percorsi politici e non faranno da contorno. Per quanto mi riguarda, lo ribadisco: se perdo torno a fare il magistrato, altrimenti sarò un uomo-squadra, come sempre».

A Roma non c’è più, in Puglia vacilla: l’asse Pd-Sel esiste ancora?

«Ho voluto pressantemente le primarie, ho chiesto a Stefàno di candidarsi, ho risolto il problema legato alle firme in Direzione Pd per Minervini, ho fatto di tutto per consentire a Sel di esistere. Certo, se Vendola si fosse limitato a dire “vinca il migliore”, Sel non si sarebbe frantumata come sta succedendo...».

Ma allargherà l’alleanza al centro? L’Udc ha spesso dato una mano in Consiglio regionale, anche pochi giorni fa.

«Su richiesta di Vendola, prima del Consiglio, ho richiamato tutti quelli che potevo, tra cui anche l’Udc che è in uno strano limbo, ma di fatto è nel centrosinistra da sempre».

In ballo c’è anche Ncd...

«Il discorso è diverso: sono in questa forma strana, con un nome evidentemente incompatibile. Ma in Ncd ci sono anche personalità, penso a Ferrarese e a quelli a lui vicini, che hanno una storia di governo col Pd. Però senza un profondo cambiamento e una adeguata selezione delle persone, non combineremo pasticci politici».

La Puglia è una regione che poggia su contraddizioni laceranti: industria e turismo, grandi insediamenti e micro-imprese. Bisognerà fare scelte più nette?

«Una regione che ha un mix produttivo e tiene diversi settori in equilibrio con lo sviluppo sostenibile, è piu forte di una a monocultura economica. Ma dobbiamo chiudere le grandi vertenze ambientali, per ripartire».

Sull'edizione in edicola anche i sei focus tematici del programma di Emiliano:

- la governance

- l'ambiente

- le infrastrutture

- la sanità

- le imprese e il lavoro

- il turismo

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