La parola ai candidati/Mariggiò: rivoluzione ecologista per creare vero benessere

Gregorio Mariggiò
Gregorio Mariggiò
di Francesco G. GIOFFREDI
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Sabato 23 Maggio 2015, 13:49 - Ultimo aggiornamento: 13 Luglio, 23:22
Il «no» è secco. A cominciare dall’Ilva, il colosso sul quale i Verdi hanno ingaggiato la battaglia più strenua. La “rivoluzione ecologista” è, innanzitutto, un paradigma che non ammette più compromessi e che tutto assorbe. E per questo il partito-movimento del “sole che ride” ha scelto, pochi giorni prima del termine ultimo, di correre in solitaria. Il candidato governatore sarà Gregorio Mariggiò, tarantino da anni in prima linea nelle battaglie per l’ambiente.

Inevitabile cominciare da Ilva. Voi chiedete lo smantellamento completo del polo siderurgico, immaginando per Taranto il cosiddetto “modello Bilbao”. Ma chiudere dall’oggi al domani la fabbrica non rischia d’essere un salto nel vuoto?

«Noi sosteniamo l’applicazione del principio “chi inquina paga”, con fondi per le aree di crisi industriale complessa, finalizzati a eliminare le sorgenti di inquinamento, monitorare e recuperare i suoli inquinati. E poi: area no-tax per la conversione industriale delle aree inquinate, creazione di un Polo specializzato nelle bonifiche, sviluppando la ricerca in materia. Il “modello Bilbao” porterà a una riconversione della città, con un piano di rigenerazione urbana contestuale alle bonifiche, utilizzando i patrimoni dei Riva. Tra l’altro, in relazione all’area no-Tax, era stato anche istituito un ufficio a Taranto, ma nulla si è mai mosso».

E gli operai Ilva che fine faranno? Non rischia di diventare ancora più esplosiva la situazione sociale in questo modo?

«Noi prevediamo prepensionamenti per i lavoratori Ilva con 22 anni di anzianità, che corrono molti più rischi rispetto agli altri rischiando la vita, e collocamento degli altri nei lavori di bonifica. Senza trascurare che bonifiche e rigenerazione urbana portebbero lavoro».

L’amministrazione straordinaria voluta dal governo potrebbe essere il viatico per una nazionalizzazione dell’Ilva? Voi sareste d’accordo?

«Non con questo governo. Ma siamo contrari in assoluto, proprio in virtù del principio “chi inquina paga”».

E infatti ci sono 1,2 miliardi per l’ambientalizzazione sequestrati ai Riva.

«Per noi il concetto di “ambientalizzazione” non esiste: c’è solo la chiusura. E ripeto: non possono essere lo Stato e i cittadini a pagare l’inquinamento provocato da altri. Né sono accettabili decreti come quello approvato l’altro giorno, secondo il quale è perseguibile penalmente solo chi provoca disastro ambientale abusivo. Quindi non Ilva, che aveva un’Aia ben precisa, dunque non abusiva. Una sorta di inquinamento legale».

Gli stessi princìpi lei li applica a specchio anche al polo brindisino? Almeno in quel caso non si potrebbe percorrere la strada della riconversione a gas della centrale Enel? Un’ipotesi che si poteva anche abbinare allo spostamento del gasdotto Tap a ridosso di Cerano.

«No, anche la centrale di Cerano va chiusa, siamo sulle posizioni del Comitato No al carbone: si possono creare nuovi posti di lavoro qualificati nella produzione di energia pulita e sostenibile».

Il gasdotto Tap non comporta emissioni inquinanti, secondo il Consorzio.

«Ma è un’opera alla quale comunque ci opponiamo oltre che per ragioni di impatto paesaggistico, anche perché può provocare esplosioni e incidenti rilevanti».

Avanti con le rinnovabili, dunque. Ma anche qui la cronaca ci racconta di distorsioni varie: infiltrazioni criminali, aggressione ai terreni agricoli, truffe. Questione di norme, di controlli o di cos’altro?

«Ci vuole un maggior controllo dei grandi impianti eolici e fotovoltaici a rischio di infiltrazione criminale che mettono a rischio il paesaggio, il turismo e l’agricoltura di qualità. E in tutte le sedi amministrative occorre una vera etica della responsabilità, con paletti certi e maggiore condivisione tra assessorati come ambiente, urbanistica, sviluppo economico. In questi anni sono mancati coesione e coordinamento tra assessorati, oltre che un vero piglio ecologista. Noi siamo per impianti rinnovabili piccoli e “democratici”, non invasivi sul territorio: iniziamo dai tetti pubblici».

La strategia “rifiuti zero” come si persegue?

«Va rivisto il Piano dei rifiuti avviando una progressiva riduzione, differenziazione e riuso dei materiali, finalizzato all’eliminazione delle discariche di emergenza e degli inceneritori. E ci vuole un vero coordinamento tra Ambiti territoriali, con una gara unica per prevedere una raccolta differenziata spinta. E se i Cinque stelle propongono le tre “r”, noi rilanciamo con le otto “r” della decrescita felice di Latouche».

Lei è in prima linea nella battaglia contro il depuratore di Manduria, con scarico a mare. La vostra tesi è: meglio i piccoli depuratori. Ma qual è la differenza?

«Bisogna porre fine alla politica dei grandi collettori, fortemente impattanti: rischiano di non essere controllati bene. Manduria è un caso emblematico perché non solo è un grande collettore, ma perché Aqp progetta ancora impianti in tabella-1, che cioè non depurano, ma sono solo collettori, veri frullatori di liquami».

La sanità, soprattutto nelle aree di rischio, come andrebbe ridisegnata?

«Siamo contrari ai tagli lineari dei servizi sanitari e puntiamo al rafforzamento di quelli relativi alle principali cause di morte. Rivedremo il Piano sanitario, anche in considerazione delle aree di crisi ambientale della regione, con particolare attenzione a quelle con un alto tasso di incidenza tumori. Ma il ripensamento della sanità deve partire da una presa di coscienza delle crisi ambientali e da indagini epidemiologiche serie, che possano dare il quadro della situazione sanitaria».

Sì allora alla medicina del territorio portata avanti dalla Regione?

«Sì, ma fin qui la Regione è andata avanti con un riordino a tagli lineari, senza tenere conto dei bisogni dei territori. Siamo poi contrari alle Case della salute: siamo per i medici di famiglia, che devono mantenere un rapporto col cittadino. Altrimenti rischiamo inutili doppioni degli ospedali».

Perché non avete accettato la proposta di Rossi (L’Altra Puglia) di un fronte comune tra voi, loro, i Cinque stelle e Alternativa comunista?

«La proposta è stata fatta tre giorni prima della chiusura delle lista. E poi abbiamo chiuso i contatti con L’Altra Puglia perché il loro programma rispetto al nostro sulla chiusura delle industrie inquinanti non è certo identico, e differenze ci sono anche sul modello di sviluppo. Peraltro loro nelle loro liste hanno candidati della Fiom, che hanno un’idea di sviluppo diversa».

Da soli però sarà dura ottenere un buon risultato.

«Ma noi abbiamo già vinto: l’obiettivo è promuovere la cultura ecologista, in tutti i modi possibili. Del resto veniamo tutti dal territorio».

Emiliano apre a tutti, minaccia pure la chiusura dell’Ilva. Un domani sareste disposti a collaborare con lui?

«Ho poca fiducia, è “onnivoro” solo in campagna elettorale. E non mi fido delle persone che ha candidato e che portano molti voti. Se dovesse vincere lui, non credo ci saranno mai mediazioni, e sarà sempre tutto a svantaggio di ambiente e salute».

La sua pagella al decennio vendoliano.

«Mi è piaciuto solo quanto ha fatto Minervini con le politiche giovanil, per quanto anche lì sia spessa mancata un’analisi preliminare e un controllo su quanto succedeva».

Turismo, industria, manifatturiero, artigianato, servizi: come immagina la Puglia del futuro? Tutto ciò può convivere?

«La Puglia deve fare una scelta netta, verso un nuovo modello di sviluppo: con la radicalità si può governare».




Le precedenti interviste:

1- Riccardo Rossi (leggi)

2- Francesco Schittulli (leggi)

3- Michele Rizzi (leggi)

4- Adriana Poli Bortone (leggi)

5- Antonella Laricchia (leggi)
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