Una 18enne salentina detenuta in Kazakistan: «Innocente, Tajani l'aiuti: ha tentato il suicidio»

Amina, 18enne in carcere in Kazakistan
Amina, 18enne in carcere in Kazakistan
di Paola ANCORA
5 Minuti di Lettura
Domenica 29 Ottobre 2023, 08:57 - Ultimo aggiornamento: 30 Ottobre, 10:05

Amina ha 18 anni e da tre mesi è rinchiusa nel carcere di Astana, capitale del Kazakistan. Senza capire una parola di russo o kazako, senza un traduttore, arrestata senza prove con l'accusa di traffico internazionale di droga. Amina parla solo italiano ed è sempre vissuta a Lequile, nel Salento: è stata sequestrata per 16 giorni dalla polizia kazaka e, oggi, rischia dai 10 ai 15 anni di carcere.

La sua storia, rimasta per mesi sottotraccia, dipanatasi lungo il filo che ha sempre tenuto legata sua madre con la comunità di Lequile e del Leccese più in generale, in questi giorni è arrivata sul tavolo del ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Perché mettendo in fila i buchi neri, le violenze e le svariate violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale consumatesi in questi tre mesi sulla pelle di una cittadina italiana appena 18enne, che Amina sia colpevole oppure no diventa un elemento secondario.
Ciò che conta sono i fatti.

L'accusa di traffico di droga

Quelli accertati: Amina Milo Kalelkyzy è detenuta nel Paese asiatico dall'11 luglio scorso. È accusata di traffico internazionale di droga, un'accusa che lei e la madre, Assemgul Sapenova, naturalizzata italiana, respingono fermamente.

All'inizio della scorsa estate, insieme alla mamma, Amina è andata a visitare la terra d'origine della sua famiglia, dove vivono ancora dei parenti. E lì, come qualsiasi ragazzina di 18 anni, ha fatto amicizia ed è uscita con alcuni suoi coetanei.


«Era in giro con un ragazzo del posto - raccontano le amiche della famiglia, Mimma Antonaci e Donatella Fiorentino, quest'ultima madre di un compagno di scuola di Amina - quando sono stati fermati dalla polizia locale e portati in questura. Amina non conosce la lingua, non ha capito nulla di quanto le dicevano, ma dopo un giorno e una notte in custodia è stata rilasciata perché su di lei non c'era nulla». I sospetti della polizia si concentrano infatti sul ragazzo che era insieme ad Amina, le cui sorti sono ignote perché il suo destino, dal momento del rilascio, si separa da quello della 18enne salentina. Amina viene infatti fermata nuovamente un paio di giorni più tardi. È il 4 di luglio. E con l'inganno viene portata da due agenti di polizia in un appartamento privato dove viene tenuta segregata per 16 giorni. La madre, non vedendola rincasare, chiede quindi l'aiuto dei suoi amici nel Salento, in Italia. E contatta la polizia kazaka per presentare denuncia di scomparsa, mentre l'ansia e la paura prendono il sopravvento.

Video

La richiesta di un riscatto


È a quel punto che il telefono di Assemgul squilla: «Se vuoi rivedere tua figlia, devi pagare un milione di tenge». Questo il messaggio - ricorda Fiorentino - che i poliziotti avrebbero lanciato alla madre di Amina, chiedendole sostanzialmente di pagare un riscatto di circa 60mila euro. Assemgul contatta e dà incarico a un avvocato del posto perché l'aiuti e, su suo consiglio, telefona all'ambasciata italiana ad Astana, che si è immediatamente attivata e che mai, fino a quel momento, è stata messa al corrente dell'arresto della 18enne dalle autorità locali kazake.


Solo grazie al lavoro diplomatico dei funzionari dell'ambasciata Amina è stata rintracciata e rilasciata «da quello che è subito apparso uno stato di detenzione illegittimo» si legge in un documento riservato che il giornale ha potuto visionare. L'ambasciata italiana, a quel punto, ha fatto le sue rimostranze alle autorità kazake, «lamentando un trattamento contrario ai diritti della persona». Segni sul collo, sui polsi, visibilmente denutrita e assetata, Amina ha trascorso 16 giorni legata a una sedia. Spesso senza poter mangiare o bere. È stata maltrattata, picchiata, sottoposta a ogni tipo di umiliazione, forse ad abusi. Liberata, la sua disperazione si è sciolta in un abbraccio interminabile con il funzionario dell'ambasciata che è andato a prenderla, ad accertarsi delle sue condizioni. Poi è accaduto l'imprevedibile.

La denuncia della madre


Mentre la madre denunciava i poliziotti che l'avevano sequestrata per 16 giorni, trascinandoli in tribunale, Amina veniva convocata alla stazione di polizia per la firma di alcuni documenti. La ragazza aveva già deposto nel processo contro gli agenti. Aveva indicato ai giudici con precisione cicatrici e segni visti sui corpi di quegli uomini durante la prigionia. Quando è stata chiamata dalla stazione di polizia pensava che le carte da firmare fossero meri adempimenti burocratici o che ci fosse un problema con il suo permesso di soggiorno. Non sapeva leggere quei documenti scritti in russo, né era presente un traduttore o un mediatore linguistico che potesse aiutarla. Così, dopo la firma - che il legale riferisce essere stata estorta con la minaccia - Amina è stata nuovamente arrestata, stavolta con l'accusa di traffico internazionale di stupefacenti. E rischia dai 10 ai 15 anni in un carcere kazako.

Da tre mesi in carcere


Da quel momento Amina - per il tramite del suo avvocato e con il sostegno dell'ambasciata - ha chiesto più volte i domiciliari, ma non le sono stati concessi perché le autorità kazake ritengono sussista il pericolo di fuga. Ha tentato due volte di togliersi la vita, ha smesso di mangiare, mentre sua madre, fuori, si dispera e teme per il trattamento che gli agenti nel carcere potrebbero riservare a sua figlia. L'ultima visita di Assemgul, sempre accompagnata dal personale consolare, è dell'11 settembre scorso. Mentre il 9 ottobre, su richiesta della Procura, il giudice ha prorogato i termini di custodia cautelare e ha disposto un altro mese di detenzione preventiva alla luce della gravità del reato di cui Amina è accusata. Quanto potrà resistere una ragazzina di appena 18 anni in carcere? Il timore della sua mamma è lo stesso di un'intera comunità, che aspetta il ritorno a casa di Amina.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA