Dario Stefàno fuori dalla squadra di governo: «Ho un ruolo politico delicato»

Dario Stefano, senatore e vicecapogruppo Pd
Dario Stefano, senatore e vicecapogruppo Pd
di Francesco G.GIOFFREDI
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Sabato 14 Settembre 2019, 14:21
Dario Stefàno, vicecapogruppo Pd al Senato: deluso? È fuori dalla squadra di governo.
«Assolutamente no, perché in questa fase ho svolto un altro ruolo. In questa operazione, tutta politica, sono stato parte attiva della delegazione che ha trattato sul programma con cinque stelle, premier incaricato Conte e poi Leu. Una dimensione politica che non lasciava spazio ad egoismi, o ad immaginare altri ruoli, tanto per me quanto per i capigruppo Marcucci e Delrio, che come me hanno partecipato in prima persona ai tavoli per la costruzione di una piattaforma ambiziosa e impegnativa».
È un ruolo che si è esaurito. Al contrario di quel che sarebbe stato con una postazione di governo.
«Invece no: il mio capogruppo mi ha chiesto di continuare a svolgere quel ruolo politico di raccordo, perché ora c'è la necessità di rendere attività di governo la piattaforma programmatica. E per fare questo occorre un'attività parlamentare ben organizzata, coordinata, presidiata. Soprattutto nelle prime fasi, in un quadro istituzionale specchio della precedente maggioranza. Mi riferisco alle Commissioni: in Senato sette presidenze sono in mano alla Lega».
Puntate a estrometterli?
«Il regolamento non consente cambi di governance fino a metà mandato. Siamo costretti a confrontarci con questo schema, in cui peraltro abbiamo registrato le sgarbate dichiarazioni del vicepresidente vicario del Senato, Roberto Calderoli, che minaccia milioni di emendamenti su ogni provvedimento per renderci la vita difficile in quelle sette commissioni. Ecco perché resta centrale chi ricopre un ruolo politico, come quello a cui sono chiamato e nel quale intendo spendermi con generosità».
Com'è stata la trattativa con i cinque stelle? Ha notato un cambio d'approccio?
«Abbiamo condiviso da subito la necessità di un approccio diverso dinanzi alle mutate condizioni e a un'emergenza politica ed economica che imponeva di guardare a una fase diversa, superando anche i risentimenti. Sono stato sorpreso dal vedere la stessa volontà da parte dei capigruppo del M5s: interlocutori attenti e disposti ad affrontare tutto con mentalità di governo e non ideologica. Ecco perché è opportuno che io continui a impegnarmi in tal senso, tanto più che la Puglia ha avuto comunque l'importante riconoscimento di due ministri Pd».
Le spine si manifesteranno. Anche perché restano distanze su temi rilevanti: grandi opere, energia, mercato del lavoro.
«L'impianto di programma ci lascia ben sperare. Ed anche sulle grandi opere i colleghi cinque stelle mi pare che abbiano maturato un approccio diverso dopo 15 mesi di governo».
Proprio voi renziani avete però picchiato più duro di tutti sui pentastellati, in passato.
«Ma è evidente lo sforzo per andare oltre, e va riconosciuto prima di tutto a Renzi, che ha avuto sguardo lungimirante e capacità di superare i risentimenti personali».
L'ex premier temeva che il voto anticipato avrebbe comportato una de-renzizzazione delle liste da parte di Zingaretti...
«Zingaretti ha saputo interpretare questa fase da guida capace, riconoscendo a tutte le aree del partito ruolo e spazio. E sono sicuro che sarebbe stato così anche in caso di elezioni. Ora però non potevamo abbandonarci a facili egoismi lasciando il Paese esposto ai rischi recessivi. È bastato evocare questo nuovo governo con il superamento di sovranismo e populismo, e i mercati hanno reagito».
Vuol dire che il M5s non è più populista?
«Hanno dimostrato un approccio diverso. Emerge anche dal discorso di Conte: mi ha fatto piacere veder riprendere pedissequamente i punti del programma».
È un governo di legislatura? O terminerà prima?
«Nasce con la volontà unanime della maggioranza di darsi un orizzonte di legislatura: lo richiedono i punti del programma. Ma è evidente che dipende da ciò che riusciremo a fare. La condizione principale è la capacità di dettarsi un'agenda nuova, con scelte improntate alla crescita, a partire da una manovra credibile che affronti punti rilevanti come l'Iva».
Alla Leopolda ci sarà lo strappo di Renzi dal Pd?
«Si è speso tanto per questo governo, è il primo a volere che funzioni. E perciò nessuno ha da temere alcunché. Qualsiasi cosa accadrà alla Leopolda non intaccherà la volontà di sostenere il governo».
Intanto nel Pd cresce la frangia di chi spinge per un'alleanza col M5s anche nelle Regioni. È d'accordo?
«Lo schema nazionale non è omologabile tout court al locale. Ma si può lavorare a questa prospettiva sapendo che in alcune aree le condizioni sono avanzate e in altre meno, e in altre ancora l'opposizione del M5s ai nostri governi è stata forte al punto da non poter immaginare altro. In ogni caso, dipende da cosa faremo nell'immediato a livello nazionale: i risultati positivi potrebbero agevolare le realtà territoriali che hanno più tempo».
La Puglia a quale categoria appartiene?
«Il M5s non ha mai fatto sconti al governo pugliese: non è immaginabile che da un giorno all'altro cambi tutto, a parità di condizioni. Ma se sulla base dei risultati conseguiti a livello nazionale si creano condizioni diverse, allora nulla è da escludere. E le primarie possono essere uno strumento per far sentire protagonisti i cinque stelle in Puglia. Ci sarebbe anche il tempo per farlo».
 
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