L'intervista/Camusso, Cgil: la precarietà è una gabbia per i giovani e frena il Mezzogiorno

L'intervista/Camusso, Cgil: la precarietà è una gabbia per i giovani e frena il Mezzogiorno
di Nicola QUARANTA
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Venerdì 17 Febbraio 2017, 12:01 - Ultimo aggiornamento: 13:26

«La nostra proposta è chiara: abrogare una norma, che è quella che impedisce la responsabilità solidale in caso di cambio di appalti, e basta guardare al mondo del lavoro per sapere che gli appalti sono una scala in discesa in cui ogni volta c’è un gradino in meno in termini di orari, in termini di condizioni, di diritti, di certezze, di prospettiva del proprio lavoro». Susanna Camusso, segretaria nazionale della Cgil, lancia dalla Puglia, tappa ieri a Taranto e nel Salento, i due quesiti referendari proposti dal sindacato. Uno riguarda la clausola di salvaguardia sociale, l’altro è riferito ai voucher: «L’invenzione dell’ennesima forma di precarietà che, peraltro, entra in contrasto con le altre forme. Con i due quesiti chiediamo di porre un argine a questa continua precarizzazione e perdita di potere d’acquisto, di condizione dei lavoratori, per tornare a immaginare il lavoro centrale per il Paese».
Dal referendum resta fuori l’articolo 18. Partita che sembra chiusa e persa. Sui voucher la Cgil non accettata soluzioni mediane: vanno aboliti. Zero margini di trattativa, dunque, con il governo per evitare il ricorso al referendum?
«Intanto per quanto ci riguarda la partita sull’articolo 18 è tutt’altro che chiusa e persa. Continuiamo a pensare che il dispositivo costruito dalla Corte costituzionale sia molto discutibile, soprattutto nella parte in cui dice che il Parlamento è nelle condizioni di fare un bilanciamento tra gli interessi mentre le persone no. Noi riteniamo, invece, che siano sempre le persone a determinare gli equilibri del governo del Paese. Non ci hanno convinto, dunque. E siamo molto determinati a proseguire la battaglia, con altri strumenti: la contrattazione, il contenzioso giuridico. Restiamo convinti che si tratti di una legge ingiusta, che produce disuguaglianza di condizioni. Ripeto, non pensiamo, che la partita sia chiusa. Quando una legge è ingiusta bisogna contrastarla sino in fondo al fine di averne una migliore che sia rispettosa delle condizioni dei lavoratori. Sugli altri due referendum siamo molto determinati, invece, a ottenere l’abrogazione dei voucher, quindi una regolamentazione del tutto diversa del lavoro occasionale, così come siamo determinati affinché sia ripristinato il vincolo della responsabilità solidale tra appaltatori e appaltanti. Se il governo sarà in grado di proporre al Parlamento una legislazione che raggiunga questi obiettivi saremo ben contenti. Ciò che non accetteremo sono dei pasticci. A quel punto l’unica strada necessaria sarà il voto. E saranno i cittadini a esprimersi, con il governo chiamato, peraltro, a decidere la data del voto».
Nei giorni scorsi il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei ha dichiarato: “Mi chiedo se il criterio della flessibilità che c’è nell’ambito del lavoro, che sicuramente ha le proprie ragioni, creando incertezza ed insicurezza, possa garantire un futuro per la gente”. Quella sul diritto al lavoro è una battaglia sacrosanta. La Chiesa vi sta scavalcando a sinistra?
«Messa così potrei dire che ci imita. Non mi pare il modo di porre il tema. Direi, invece, che è sempre più evidente un limite: i governi - il nostro e quelli europei - non si accorgono che la loro ricetta è fallita, che bisognerebbe aver il coraggio di cambiare rapidamente, senza continuare a tenere i giovani nella trappola della precarietà».
Il reddito di dignità è una misura che ritenete utile e necessaria per contrastare la povertà?
«Credo sia sicuramente necessario avere degli strumenti come quello pugliese o come altri che pure si sono trovati e come molto parzialmente lo sono quelli nazionali in discussione che danno reddito e possibilità di sussistenza. Purchè siano pensati per costruire l’inclusività. Come per la precarietà, la povertà è una trappola. Il solo sussidio monetario non ne consente di uscire, né lo consentirebbero altre forme che non abbiano in mente l’inclusione. Tutto il dibattito di questi anni è stato incentrato su come licenziare le persone. Ecco, bisognerebbe costruire delle politiche attive per far entrare realmente i giovani nel mercato del lavoro».
Come il sindacato guarda allo scontro nel Pd e a sinistra?
«Massima attenzione al dibattito politico, specie a sinistra, ma non siamo noi gli attori. Ciò che vorremmo è che questa discussione abbia presente che la grande frattura nel Paese è intervenuta sui temi della precarietà, sull’assenza di futuro per i giovani Bisognerebbe cominciare a discutere di qual è la funzione della politica nei confronti dell’economia e non di una economia subalterna solo alle logiche finanziarie invece che alle logiche di governo di un Paese».
Le stesse accuse che Emiliano rivolge a Renzi spesso vengono rivolte sul territorio, anche dalle organizzazioni sindacali, al governatore della Puglia, nell’esercizio delle sue funzioni: a partire da una gestione accentratrice della Regione. Fare politica e occuparsi della pubblica amministrazione sono due mestieri diversi?
«Io penso che sul piano amministrativo si giudicano i programmi e le cose che si fanno. E mi pare che abbiamo sempre con nettezza detto al presidente della Regione Puglia le cose che andavano bene e quelle che andavo male, con una differenza non da poco. Da quando abbiamo iniziato in questa regione la vertenza sulla sanità poi si è aperto un confronto e si è fatto un accordo. La Regione è stata disponibile a modificare le sue opinioni e quindi a costruire una soluzione sindacale. Così come penso alla giornata di oggi in cui abbiamo discusso di industria, di piani del lavoro territoriali, di prospettive. Ci siamo anche confrontati, avendo avuto in altre occasioni opinioni diverse, su un tema delicato come l’Ilva, trovando punti in comune. L’importante è l’approccio, dunque, e riconoscere i propri interlocutori. Il governatore della Puglia li riconosce, evidentemente. Questo non vuol dire in alcuni casi non confliggere».
Ilva, appunto: il futuro potrebbe essere targato ArcelorMittal.
«Non conoscendo concretamente le proposte è difficile dare dei giudizi, ma la sensazione che abbiamo ricavato è che la proposta di ArcelorMittal sia di ridimensionamento dell’attività dell’Ilva e questo ovviamente ci preoccupa. Attendiamo di capire anche altre cose: i tempi, quantità di investimenti, realizzazione concreta dei piani ambientali, partenza delle bonifiche, perché ci sono qui responsabilità che derivano dalle proposte delle cordate, ma ci sono anche impegni che il governo ha preso e che si continuano a rinviare».
Lunedì al Mise c’è un vertice importante sul siderurgico.
«Rischia di apparire solo un confronto sugli ammortizzatori sociali, ma deve essere un confronto sulle prospettive industriali e, quindi, anche sui criteri che il governo utilizzerà per valutare le proposte delle cordate che intendono acquisire l’Ilva. Ci sono due temi che sono fondamentali: uno, quali sono gli investimenti, innanzitutto in relazione al rispetto delle norme ambientali; l’altro, la quantità produttiva da realizzare attraverso l’innovazione, che poi ci offre le dimensioni della prospettiva. Non c’è alcuna ragione poi che giustifica la richiesta di Cassa integrazione per 5mila lavoratori, non è coerente con il contratto di solidarietà che era in corso, ed assume il segno di una volontà di ridimensionare la condizione e l’occupazione dello stabilimento. Questo è il tema del confronto che continuiamo a chiedere».
La Regione punta sulla decarbonizzazione: cosa ne pensa?
«È evidente che non si può immaginare che l’Ilva continui a produrre con la vecchia modalità, al di là delle quantità, ed è la ragione per cui da sempre abbiamo sostenuto che il piano ambientale era la premessa anche delle offerte che ci dovevano essere. È possibile, e succede nel resto del mondo, produrre in una condizione di compatibilità ambientale, ma questo richiede innovazione e investimenti. Quindi, la vera domanda da fare rispetto alle offerte degli acquirenti è: quanti investimenti intendono fare e come intendono far crescere la produzione? È chiaro che un grande stabilimento non rimarrà in economia se riduce la produzione, ma devi farla crescere in modo che non diventi di nuovo un punto di conflitto con la città e con l’ambiente».
Per la Cgil c’è un grande imbroglio rispetto alla quantità di risorse destinate al Mezzogiorno dal Masterplan.
«È un dato di fatto: siamo ancora molto lontani dall’avere una vera idea di crescita del Mezzogiorno.

Può esserci una prospettiva se si considera il Paese nel suo insieme. C’è chi pensa di continuare sul modello di un Mezzogiorno mercato della produzione del nord, ma è un modello fallito. Ricominciamo dai fondamentali. Misuriamoci con le nostre risorse. E il Sud ne ha tante per rimettere in moto il Paese».

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