Governo tecnico, Padoan in pole: la strategia delle urne a primavera

Padoan
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di Marco Conti
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Martedì 6 Dicembre 2016, 09:22
La legge di Bilancio? «Pronti». Un altro governo? «Certo». Una nuova legge elettorale? «Ovvio». Ieri sera Matteo Renzi sembrava aver già elaborato il lutto per la sconfitta di domenica. Il timing messo a punto con il Quirinale sulle dimissioni lo ha rasserenato. La voglia di lasciare al più presto la poltrona da premier è fortissima. «Non ci sto a farmi rosolare da coloro che hanno fatto perdere il Paese», spiega a uno dei sindaci che lo chiama. Governo finito ed elezioni anticipate alle porte è la linea che i renziani sostengono, dopo aver parlato con il segretario il quale - dopo una mattinata convulsa - ribadisce di voler rimanere alla guida del Pd.

PATTO
Con la promessa di chiudere la legge di Bilancio, si ferma però la disponibilità di Renzi che domani, alla direzione del Pd chiederà di poter formalizzare al Capo dello Stato - nel corso delle consultazioni - la richiesta di un coinvolgimento di tutte le forze politiche nel sostegno a un governo istituzionale che abbia come unico compito quello di mettere mano alla legge elettorale. Impossibile, per Renzi, metter su un altro governo - il quarto - senza un passaggio elettorale. Tempi brevi, quindi, per votare a primavera assieme alle amministrative. Il Pd ci sta, a patto che si allarghi l'attuale maggioranza a tutti coloro che dicono che non si può andare a votare con l'Italicum alla Camera - legge che deve ancora passare al vaglio della Consulta - e il Consultellum al Senato.

Il via vai che c'è stato ieri a palazzo Chigi proseguirà anche oggi con gli incontri che il premier uscente avrà con i leader dei partiti alleati di governo. Alfano e Verdini sono da ieri sulle spine. Sono pronti a dare i propri voti ad un nuovo governo ma vogliono garanzie da Renzi sul sostegno del Pd. I nomi non mancano e si pescano tra gli attuali ministri: Gentiloni (Esteri), Delrio (Infrastrutture) e Padoan (Economia). Quest'ultimo potrebbe rappresentare la garanzia per le borse e l'Europa che già chiede una manovra correttiva.

Governo tecnico-istituzionale, di pochi mesi, per verificare al tavolo sulla legge elettorale, quanto spazio c'è per un accordo. Renzi resta scettico sulla possibilità di un'intesa visto che il M5S, dopo tanto strepitare, sembra ora preferire l'Italicum perché prevede il ballottaggio, mentre Berlusconi tesse insospettate lodi al sistema proporzionale che ha sempre avversato. Poi c'è il problema dei partiti più piccoli con i centristi di maggioranza che non vogliono sbarramenti sopra il 3% mentre a Lega e Fratelli d'Italia non dispiacerebbe poter inserire il sistema delle primarie già nella legge.

ALLEATI
Nella sfida a chi frena per ultimo sul voto anticipato, Renzi non sembra temere confronti. «Si vedrà al Quirinale chi le vuole veramente», sostiene un ministro mentre esce da palazzo Chigi. Sulla linea del voto subito c'è anche il ministro dell'Interno Angelino Alfano che a Porta a portaconfessa: «Scommetto sul voto a febbraio». La sfida è diretta al Cavaliere che resterebbe incandidabile se si votasse in primavera. Ai suoi alleati centristi Renzi promette di non abbandonarli né in occasione del varo del prossimo governo, né al tavolo della trattativa sulla legge elettorale. Niente sbarramenti alti, come vorrebbe il centrodestra, e premio di coalizione.

Il perché lo spiega il sindaco di Pesaro Matteo Ricci: «Il fronte riformista ha un voto molto ampio e un leader che è Matteo Renzi. La percentuale del Sì ricalca quella presa alle Europee del 2014». Ma se il fronte del Sì ha un leader e una base importante da cui partire frutto del referendum, nel centrodestra è buio pesto tra Berlusconi e Salvini con quest'ultimo lusingato dalle avances pentastellate anche con l'esplicita richiesta di uscita dall'euro.

L'idea di tirarla per le lunghe, come vorrebbe la minoranza Dem, per arrivare a fine legislatura conta sulla voglia di vitalizio dei parlamentari che, per maturarlo, devono arrivare a ottobre del prossimo anno. Prospettiva di lunga durata che si scontra però con i numeri compatti di Montecitorio dove il Pd conta da solo 301 deputati su 630, e sulla volontà del Quirinale di prendere atto delle scelte dei partiti. Qualora lo stesso Pd si dicesse indisponibile a far proseguire la legislatura.
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