Territorio o Europa? L'Università del Salento al bivio

di Ferdinando BOERO
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Martedì 6 Ottobre 2015, 21:51 - Ultimo aggiornamento: 7 Ottobre, 09:53
Nella recente conferenza d’Ateneo abbiamo avuto occasione di ascoltare proposte che delineano il futuro dell’Università del Salento. Si apriranno nuovi corsi di laurea nella speranza che possano soddisfare le richieste del territorio, fermando l’emorragia di studenti salentini che migra verso nord per ricevere un’istruzione superiore. Si è parlato soprattutto di Farmacia, Scienze Motorie, Agraria. A quanto pare il territorio le “chiede”. E quindi dobbiamo dargliele. Fu così anche per Giurisprudenza. Migliaia di studenti salentini andavano al nord per diventare avvocati. L’iniziativa ebbe successo e l’emorragia fu fermata. A migliaia si iscrissero (e si iscrivono) a Giurisprudenza.



Il problema è: ma riescono tutti a trovare lavoro sul “territorio”? C’è veramente questa grandissima richiesta di competenze (non di formazione) da parte del territorio? Il “mercato” dei nostri laureati deve essere, come minimo, l’Europa. In uscita (in Europa devono trovare lavoro i nostri laureati) ma soprattutto in entrata (dall’Europa devono venire i nostri studenti). Va benissimo offrire formazione anche in un territorio “saturo”: se la formazione è di alto livello il surplus sarà assorbito da territori più vasti.



Nei momenti di crescita fu giusto per la nostra Università di assecondare la vocazione territoriale. Cominciammo a formare maestri e maestre, e poi professori di scuola media inferiore e superiore. Poi, dopo molti anni, si passò a formare tecnici che potessero agire al di fuori della scuola. Nelle industrie, nell’ambiente, nel patrimonio culturale. Ma anche l’assorbimento territoriale di queste risorse umane sta calando, si arriva alla saturazione. I laureati italiani vanno fuori, all’estero.



Dal mio modestissimo punto di vista, è necessario cambiare prospettiva. Basta con il territorio, basta guardarsi la punta delle scarpe. Viviamo in Europa, nel bacino del Mediterraneo. Il nostro bacino di utenza è quello. Non il Salento. Lo sviluppo turistico salentino, in passato, è stato incentrato sul locale. Chi vive nell’interno si fa una casa al mare e vi si trasferisce un mese all’anno. Distanza massima: una cinquantina di chilometri. Ora abbiamo capito che dobbiamo attirare il turismo internazionale. E lo possiamo attirare in un solo modo: con l’alta qualità.



Lo stesso, credo, vale per l’Università. Dobbiamo offrire alta qualità, in modo che gli studenti come minimo italiani, ma anche europei e mediterranei, siano attirati ad iscriversi qui. Dove esiste un territorio, il Salento intero, di altissima qualità, dove si troveranno bene e avranno attenzioni, dove magari vorranno tornare in vacanza. E questi studenti “esterni” non penseranno tutti di trovare lavoro qui. Se saremo saggi cercheremo di tenerci i migliori, offrendo loro opportunità. Altrimenti torneranno nel circuito da cui sono venuti (l’Europa e l’intero bacino del Mediterraneo), portando però nel cuore i loro quattro o cinque anni di Università, per tutta la vita. E saranno ambasciatori del Salento.



Questa strategia si realizza attraverso l’eccellenza scientifica. È sull’eccellenza scientifica dei suoi docenti che si basa la reputazione di un’Università. Su questa si devono costruire i corsi di laurea, in modo che gli studenti sappiano che riceveranno un’istruzione da esperti di livello internazionale. Ho sentito qualcuno dire, alla Conferenza d’Ateneo, che i Nobel non necessariamente sono dei bravi docenti. Sarà... ma penso che a tutti farebbe piacere poter dire di aver avuto un Nobel come docente. Magari ne avessimo...anche uno!



Con le tattiche si vincono le battaglie, ma si perdono le guerre, se non c’è una strategia. Pensare di continuare con le tattiche del passato (apriamo nuovi corsi perché il territorio li chiede) secondo me non ha futuro. Dobbiamo innescare una strategia. Per me, l’unica strategia possibile prevede di identificare le aree in cui l’Università del Salento ha già rinomanza internazionale e, su queste, costruire una offerta didattica di lauree triennali e magistrali supportata da Isufi e Scuole di Dottorato.



Poi bisogna identificare le aree in cui esiste una potenzialità di eccellenza, dovuta alla presenza di giovani promettenti o di “scuole” magari consolidate ma non ben raccordate tra loro. Queste devono essere incentivate a raggiungere il livello della categoria precedente. Su queste si deve puntare per le triennali, in vista di istituire anche le magistrali e i dottorati quando il livello sufficiente sarà stato raggiunto. Come identificare queste aree è semplicissimo: esiste il sistema di valutazione ministeriale. Al quale potremo affiancare altri criteri, se si rivelasse insufficiente. Questa strategia, come tutte le strategie, guarda soprattutto al lungo termine e non si cura molto delle contingenze che potrebbero imporre tattiche di breve respiro.



Questo disegno potrebbe anche essere trattato a livello ministeriale, presentando un piano di riordino, in modo da superare le contingenze che lo potrebbero ostacolare. Se le nuove lauree proposte rispondono a questi requisiti di qualità, ben vengano. Ma, per favore, facciamo quel che sappiamo fare bene. Ci sono già stati troppi fallimenti per correr dietro alle “richieste del territorio” senza avere una massa critica di alto livello. C’è bisogno di fare l’elenco? I tempi dell’improvvisazione sono finiti. Il tema è complesso e non può essere affrontato a compartimenti stagni. Lauree triennali e magistrali sono strettamente raccordate con i dottorati di ricerca e l’Isufi è trasversale a questo percorso didattico. E la didattica universitaria si qualifica con la ricerca universitaria.



E la terza missione ci impone di comunicare in modo efficiente quel che facciamo e quel che abbiamo da offrire, in modo che tutti lo sappiano. La tattica affronta i problemi uno alla volta, la strategia “vede” i problemi nell’insieme e poi decide volta per volta le tattiche migliori. Intraprendere azioni tattiche senza avere una strategia, di solito, non dà buoni risultati. Lo imparò a sue spese un antico generale, si chiamava Pirro.

Ferdinando Boero