Sud-Est, le cose da fare per un servizio virtuoso

di Pietro MARRA
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Sabato 21 Novembre 2015, 10:54 - Ultimo aggiornamento: 12 Novembre, 11:27
Per me discutere delle Ferrovie del Sud Est è come discutere di una parte della mia vita, pur non essendo io mai stato un ferroviere; di queste linee ferroviarie mi sono in verità innamorato da bambino.



Da quando vedevo passare vicino alla mia vecchia casa di Nardò i treni delle Sud Est su cui mio padre viaggiava per andare al lavoro. Tanto innamorato da recuperare col passare del tempo tanti frammenti della loro storia e decidere di scrivere su di esse un libro, soprattutto per non far disperdere quella parte di memoria storica che, in realtà, non riguarda solo queste linee ferroviarie, ma l’intera storia della Puglia a sud di Bari e – strano, ma verissimo – anche una consistente parte della storia italiana.



Oggi sono costretto a constatare una situazione difficile di questa importante e spesso bistrattata infrastruttura che, come tante infrastrutture giunte a noi dopo decine e centinaia di anni di servizio, è costata lacrime e sangue ai nostri nonni e bisnonni; i suoi percorsi, inoltre, più e più volte furono deviatiancora in sede di progetto per venire incontro alle richieste di collettività che – tagliate fuori dai commerci e dai traffici, ossia per dirla tutta tagliate fuori dalla civiltà – in passato non esitarono a scatenare gravi disordini di piazza con feriti e vittime pur di avere a propria disposizione quell’unica possibilità del tempo per aprirsi al resto del mondo. E questa, come qualunque altra infrastruttura del passato, costò tante vite e tanta salute a quei lavoratori che, privi di qualsiasi tutela sanitaria e previdenziale all’inizio del ‘900, cercarono con queste costruzionidi garantire ai propri figli la prospettiva di un futuro migliore.



Dire oggi che chi viaggia, per esempio, tra Lecce e Maglie sulle Sud Est sta utilizzando il sedime di una ferrovia costruita fra il 1866 e il 1868 potrebbe equivalere semplicisticamente al trovarsi davanti a un’infrastruttura vecchia e perciò da abbandonare a favore di qualcosa di più moderno; ciò ovviamente non può essere vero. La verità è che anche la grandissima parte di tutta la rete ferroviaria “storica” del nostro Paese, tutta in normale esercizio, è nata proprio fra l’800 e i primi del ‘900, lo stesso periodo delle linee Fse, ai tempi in cui la costruzione delle strade ferrate rappresentava da una parte l’affare del secolo per i costruttori e dall’altra l’obiettivo di libertà per le popolazioni. Così, quasi a ricostruire un’immagine purtroppo ancora attuale, se da una parte affaristi e speculatori non si riuscivano più a contare visti gli appetiti stimolati dalle prospettive di facili guadagni, dall’altra le proteste degli utenti per un miglior servizio di trasporto per le persone e, soprattutto, per le merci, erano all’ordine del giorno.



Fatte le debite proporzioni, sembra che tanti decenni da allora ad oggi non siano affatto passati!

Rammento che questa rete ferroviaria, la più grande in Italia per estensione fra quelle cosiddette “secondarie”, è il frutto di una fusione avvenuta ai tempi del fascismo fra tre diverse società esercenti ciascuna alcuni rami ferroviari pugliesi (le Ferrovie Sussidiate in Terra di Bari, le Ferrovie Salentine nel leccese, le Strade Ferrate Pugliesi nel tarantino). E su tutte queste linee nel corso dei decenni non sono mancati sostanziosi ammodernamenti di rotabili e strutture, e altri sono in corso tuttora.



Il tempo ha sempre creato un’alternanza tra innovazioni e obsolescenza sulle Sud Est come su altre analoghe reti secondarie italiane, a seconda di quanta disponibilità di spesa avessero tempo per tempo amministrazioni pubbliche e privati gestori (le Ferrovie del Sud Est rimasero a gestione sostanzialmente privata fino alla fine del 1985).



Tanto per citare un dato storico, all’inizio degli anni ’60 su queste linee era già sparita la trazione a vapore, a dispetto di quanto succedeva sulle Ferrovie dello Stato ove essa sarebbe sopravvissuta fino al 1975. Ma già alla stessa metà degli anni ’70 l’esigenza di nuovo materiale rotabile portava le Sud Est a difficoltà per la gestione del servizio con i pochi veicoli ancora atti all’uso, che si allentò con l’acquisti di nuove automotrici e il risanamento dell’armamento; e così via con la stessa ciclica alternanza anche negli anni dopo. Oggi il quadro è diverso: tanto materiale “nuovo”, ingenti investimenti in corso, ma l’Azienda è in forte difficoltà.



Cosa manca a queste ferrovie perché rendano pienamente un servizio utile alle collettività attraversate dai loro binari? Oggi sembra necessario rispondere lapidariamente: tanto, veramente tanto. Ma nulla che non si possa ottenere realmente. Ovviamente, la strada maestra passa per la risoluzione dei problemi di governance e di bilancio che tante volte sono stati sottolineati dalla stampa: su questo mi astengo dal fornire ricette improvvisate, dato che le decisioni da prendere sono particolarmente importanti e impegnative e impongono un’approfondita conoscenza delle Ferrovie del Sud Est dall’“interno”.



Per migliorare il servizio, lavorando “dal basso”, ci si può invece rifare a quanto di meglio si può osservare in altre ferrovie più “virtuose” in Italia (perché ci sono le ferrovie “virtuose” in Italia, credeteci!) e all’estero. Le regole primarie sono anche quelle apparentemente più elementari: mezzi puliti e ben manutenuti (un piacevole viaggiare senza imprevisto alcuno), puntualità rispettata senza eccezioni, struttura degli orari che tenga conto delle reali esigenze degli utenti e non (come spesso è facile immaginare) di quelle interne aziendali di gestione del personale, coordinamento dei servizi con gli orari delle “altre” ferrovie (vi è mai capitato di pensare che sia poco utile utilizzare il trasporto di una “secondaria” se poi non si può proseguire agevolmente il viaggio sulle reti nazionali?). Sono poche misure per riguadagnare l’utenza, sapendo che poi andrà impostato un risanamento molto più incisivo, difficile e faticoso.



Mi rendo conto che è difficile pontificare anche solo di regole semplici quando 1.300 dipendenti sono senza stipendio da giorni, tanti mezzi rotabili apparentemente “nuovi” non sono in grado di circolare e non si riesce a comprendere come un’Azienda di proprietà statale abbia potuto accumulare una situazione debitoria così gravosa e apparentemente con poche vie d’uscita (a meno di non far spesare tutto sulle casse statali, come da qualche parte si invoca, per l’ennesima volta nella storia italiana). Ma l’unica strada da non percorrere è quella di pensare che, con la pesante attuale situazione societaria, tutta quest’infrastruttura debba essere ulteriormente trascurata.

Pietro Marra