Sud Est, un "tesoro" da salvare

di Giacinto Urso
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Sabato 21 Novembre 2015, 12:44 - Ultimo aggiornamento: 15 Novembre, 22:14
Chissà quanti di noi, abitanti, in vari luoghi, delle Province di Bari, Lecce, Taranto e Brindisi, si sono trovati costretti a sostare di fronte alle sbarre dei passaggi a livello e … ammirare il transito di scassati e logori locomotori e vagoni a passo di lumaca, spesso deserti di passeggeri. Visione che, di sicuro, ha provocato rabbia e stupore, considerando – tra l’altro – la quasi inutilità di un servizio vetusto e arrangiato dai costi stratosferici e da sprechi notevoli. Per cui, i binari, anch’essi antiquati, perdurano a stare più lì per gli addetti ai lavori e, in maniera marginale, a suffragio degli utenti, sporadici e avviliti.



Una condizione incresciosa e detestabile, che forse ha fatto balenare nella mente di molta gente il disimpianto della rete delle Ferrovie del Sud Est, che, invece, rappresenta davvero un “tesoro”, insabbiato nella noncuranza e, da tempo, affidato a una dirigenza aziendale, così disinvolta, da far annotare sul proprio sito che “l’azienda viaggia di pari passo con la crescita del Paese-Italia e che “la missione della struttura è rivolta alla soddisfazione delle esigenze e aspettative della clientela”. Affermazioni incaute e provocatorie, che pretendono la narrazione di un po’ di storia delle Ferrovie del Sud Est, non sempre conosciuta.



La società nasce nel 1931, raggruppando le esistenti “Ferrovie salentine”. La rete si estende per 474 chilometri e corre lungo 85 Comuni, suddivisi nelle quattro ricordate province, risultando – vero primato – la più grande rete omogenea ferroviaria dopo quella statale e perciò, lo ripeto, un autentico “tesoro”. Infatti, da sempre possiede in sé tutti i requisiti – grazie all’avvedutezza dei nostri avi – di uno straordinario complesso di interconnessione del trasporto pubblico locale, indispensabile quanto mai per raggiungere i territori limitrofi, per affrancare l’oneroso, pericoloso traffico su strada e per agevolare la locomozione razionale della gente a costi contenuti, sì da poter divenire una vera e propria metropolitana di superficie. Intuizione che circola sin dal dopoguerra, anni 1950, quando la concessionaria privata, aiutata dallo Stato, pur tra mille manchevolezze, avviò un consistente intervento di ammodernamento.



In seguito, la situazione rimase statica. Poi, 1985, sperando al meglio, si superò la conduzione privata, tenuta dalla famiglia Bombrini e la si passò in totale affidamento, al Ministero dei Trasporti, illudendosi di acquisire modernità ed efficienza. A sua volta, 2001, si diede inizio, dopo la fase di inerte gestione governativa, a quella commissariale attraverso una società con un unico azionista, il Ministero delle infrastrutture. Nel 2008 si racimolò qualcosa di positivo soprattutto in Provincia di Bari. Poco o nulla altrove. Abbondanti furono i tempi morti, gestiti da un eterno commissariamento. Però, la svolta efficientistica non avvenne, anzi tutto apparve più opaco.



Le inavvedutezze non mancarono, nemmeno i silenzi profondi, rotti dagli annunci di una serie di molteplici indagini giudiziarie, ancora in corso. Notevole risultò e risulta l’indebitamento. Anche il rapporto Regione – Sud Est si mostrò diffidente e conflittuale e, in conseguenza, anche i modi dello stipulato contratto di servizio, che, in dieci anni, è costato alla Regione ben 500 milioni di euro, versati alle Sud Est per poter affrontare l’ammodernamento. In merito, è da ricordare, ottobre 2014, il testo di una specifica intervista rilasciata dall’Assessore regionale Minervini a “Quotidiano”, in cui si dichiarò che «non si riusciva a vedere le carte della società e a vedere i conti», né a consentire il passaggio della struttura dallo Stato alla Regione Puglia, aggiungendo che «alla società di revisione, selezionata dalla Regione, non fu nemmeno consentito di accedere ai bilanci e alla verifica della condizione finanziaria, anzi fu opposto un equivoco gioco di melina da parte del Ministero».



Sono sufficienti queste gravi denunzie, virgolettate e mai smentite, per domandarsi come mai la Regione, platealmente ignorata, ha continuato la sovvenzione e come mai, si è sopportata tale condotta con l’avallo dei Governi centrali. In proposito, si è pure parlato e scritto di “mistero”. Ma, lasciando da parte i misteri, che, in ogni caso, turbano, rimane fisso un dato incontrovertibile. La società delle Ferrovie del Sud Est langue da lustri, in criticità madornali e multiple nel mentre la precarietà finanziaria si aggrava e i disservizi galoppano oltre ogni dire. Sia pure in tali precarie condizioni, “il tesoro” posseduto resta “tesoro” e, perciò, va salvato. Occorre, innanzitutto, girare pagina. Totalmente. Mettendo a riposo i responsabili e – a parte eventuali azioni giudiziarie – avviare da parte del Ministero un’inchiesta di accertamento di responsabilità. Ciò per decenza istituzionale. In più – aspetto fondamentale – in qualità di unico azionista il Ministero deve decidere il da farsi futuro. Seriamente e senza indugio, ponendosi degli interrogativi.



Regionalizzare la struttura? Ritirarla, invece, a sua esclusiva, totale competenza? Oppure, tornare con più avvedutezza, al tentativo di una concessione al privato, tendente alla vivificazione, sognata, da decenni, di una moderna metropolitana di superficie con grande beneficio dei territori serviti? Difficilmente, in proposito, la Regione può caricarsi l’imponente onere finanziario con relativo debito pregresso. Il Ministero delle Infrastrutture, carente di soldi, risulta oberato da mille assilli. Forse una cordata, di sana imprenditoria privata potrebbe risolvere gli accumulati “misteri” e rendere fruibile il “tesoro” da non perdere, pur risultando oberato di trascuratezze illimitate, di tolleranze infinite e di notevoli pesantezze debitorie.