Parte male la sinistra che rompe i ponti con il Pd

di Umberto UCCELLA
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Sabato 21 Novembre 2015, 11:22 - Ultimo aggiornamento: 13 Novembre, 09:13
Staremo a vedere se la nascita di “Sinistra Italiana” sarà stata davvero un’operazione di mero ceto politico o se, come io credo, c’è uno spazio effettivo, oggi, alla sinistra del Pd, che una nuova formazione può occupare. Questa convinzione nasce dal fatto che c’è sempre un’area più radicale a sinistra del riformismo. Ma c’è anche il dato verificatosi proprio nelle ultime elezioni regionali.



Quello di un astensionismo, in gran parte, non più motivato da un allontanamento dalla politica in quanto tale, ma, soprattutto, nelle regioni a più forte insediamento della sinistra, animato da un intento attivo e ragionato, volto a dare un segnale - ed un colpo - ad un Pd considerato alle prese con una deriva centrista.



Certo, a prima vista, si può essere ingannati dalla circostanza che si siano ritrovati e messi assieme quelli che appaiono esclusivamente come i pezzi di un ceto politico di una sinistra dalle provenienze più diverse. Ma, ciò non può e non deve far velo ad una verità incontrovertibile: la fortuna ulteriore di quell’operazione potrebbe essere anche l’esito del vuoto che si aprirebbe con lo scivolamento del Pd verso un più che equivoco “Partito della Nazione”. Una specie di forza “pigliatutto”, con la pretesa dell’autosufficienza, che blandisce, persino, talvolta, con lo stesso linguaggio e gli stessi argomenti, forze e ceti sociali che, un tempo, orbitavano attorno alle suggestioni berlusconiane.



Sono convinto che, oggi, malgrado tutto, il Pd abbia gli anticorpi idonei ad evitare quella deriva. E che la sua appartenenza al campo – spesso, tuttavia, variegato e contraddittorio - delle forze del socialismo europeo lo sottragga ad una sorta di definitiva trasformazione genetica che ne snaturi la netta collocazione nel centrosinistra italiano ed europeo. Ma, perché ciò avvenga, occorre una sterzata politica. Ed un’attenzione all’insieme dello scenario che riguarda la sinistra ed il centrosinistra. Ed è qui che avverto il rischio di errori che potrebbero compromettere il futuro prossimo dei rapporti politici e delle necessarie alleanze e, di conseguenza, la prospettiva di governo. Ma tutto ciò non riguarda solo il Pd. Riguarda anche Sinistra Italiana.



È curioso dover ascoltare parole e giudizi così aspri, ma anche così contraddittori, da parte degli esponenti della nuova forza politica. Che cosa significa, infatti, da un lato, dichiarare di voler dar vita ad un nuovo centrosinistra, rispolverando l’Ulivo, e, dall’altro, volersi considerare alternativi al Pd? Posso comprendere la tattica di chi cerca di sottrarre consenso al competitore più prossimo (una tra le più antiche e pessime abitudini della sinistra). Ma, a conti fatti, può esistere un centrosinistra che possa consentirsi di fare a meno del Pd? Politicamente e numericamente, ciò è assolutamente impossibile.



A meno che non si pensi di poter assorbire quanto, a sinistra, ha eroso il grillismo e contare su di un’alleanza, peraltro, ristretta alla sola sinistra, e, dunque, di tipo “frontista”. Che, appunto, non è affatto il centrosinistra. Ma un soggetto politico, in fin dei conti, che sarebbe tutt’altro da ciò che suggerisce lo stesso retroterra da cui molti di quegli esponenti provengono. Che è il campo del riformismo. Quello di una sinistra di governo - e non di pura testimonianza - che guarda ai moderati e a forze del civismo sociale. Di un nuovo centrosinistra, insomma. Di una coalizione, cioè, che sceglie il terreno concreto delle riforme e del primato della politica. E che non accarezza il pelo dell’antipolitica, come, invece, fa Fassina quando, per Roma, non esclude un’alleanza con i 5 Stelle.



Ma tocca anche al Pd fare la sua parte. Ed è una parte di grande responsabilità. Se non vuole smarrire la sua prospettiva strategica di governo. Perché l’alternatività rispetto al Pd, dichiarata da Sinistra Italiana, è simmetricamente speculare ad ogni atteggiamento proveniente dal gruppo dirigente del Pd che sia improntato ad ostilità e alla spicciativa liquidazione di tutto ciò che si muove alla sua sinistra, escludendo ogni possibilità di alleanza e di intesa.



Questa incomunicabilità, se non dovesse essere immediatamente interrotta, rischia di produrre danni gravi. A cominciare da quelli che potrebbero pesare sull’imminente tornata amministrativa. Che è, sicuramente di portata strategica. E che, interessando città come Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, al contrario di quanto afferma Renzi, non potrà non condizionare i destini dello stesso partito e della sua leadership. È lì che, a mio giudizio, occorrono prove di intesa, invertendo l’attuale corso segnato dalle accuse reciproche e dalle polemiche distruttive.



Per preparare il terreno delle prossime elezioni politiche. L’alleanza del Pd con l’Ncd, d’altronde, è il risultato di una situazione di emergenza. Il surrogato di necessità delle larghe intese con Forza Italia, determinate dall’incerto esito delle ultime elezioni politiche. Non ha assolutamente, dunque, carattere strategico. Né è auspicabile che il Pd persegua quella proterva pretesa di autosufficienza che, soprattutto, con la nuova legge elettorale –l’Italicum- lo esporrebbe, in un eventuale ballottaggio con i 5 Stelle, ad un “effetto Parma” moltiplicato sull’intero territorio nazionale. E, dunque, ad una sconfitta inferta dall’ammucchiata di destre, populismi e antipolitica. Da un’alleanza, cioè, antieuropea, scandita dal trasformismo, dall’eterogeneità e da una mera logica di potere.



Ecco perché, di fronte al fatto nuovo della nascita di un partito alla sinistra del Pd, è consigliabile cautela. Senza, ovviamente, rinunciare, laddove occorra, ad un giudizio critico su atti e scelte di Sinistra Italiana, ma, sempre, sostenendo un intento unitario e mantenendo un dialogo ed un canale di scorrimento costanti. Per far questo, tuttavia, è necessario che il Pd recuperi sul terreno del suo posizionamento politico. Abbandoni una volta per tutte l’idea di quel “Partito della Nazione” già sconfitto nelle ultime elezioni regionali. E, nelle concrete politiche di governo, sposti l’asse delle scelte riguardanti la politica economica. A cominciare dalla Legge di Stabilità. Che contiene quella necessaria inversione di tendenza verso la crescita e lo sviluppo, ma che, in molte sue parti, ha bisogno di correzioni significative. Dal Mezzogiorno ad una politica fiscale che concentri il carico su rendite e patrimoni e lo allenti su produzione e lavoro.



È del tutto evidente, perciò, che un nuovo centrosinistra può nascere soprattutto da una svolta nella politica del Pd. Una svolta che, tra l’altro, coincide esattamente anche con la tenuta unitaria del partito. Che, quando si è verificata, dall’elezione di Mattarella alla riforma del bicameralismo, allo ius soli, ha prodotto risultati soddisfacenti. E che, viceversa, quando è stata soppiantata dalla logica trasformista della supplenza di altri spezzoni di gruppi parlamentari, ha indotto in errore ed ha provocato un colpo al partito stesso e più di un “vulnus” all’autorevolezza e alla centralità delle istituzioni.

Umberto Uccella