Dalle periferie la forza del Papa rivoluzionario

di Stefano Cristante
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Sabato 21 Novembre 2015, 02:38 - Ultimo aggiornamento: 7 Novembre, 11:12
Il racconto di papa Bergoglio impegnato strenuamente a cambiare da solo la Chiesa dall’alba a notte fonda contro la palude delle resistenze cardinalizie non regge. È l’espressione “da solo” che rende la frase narrativamente maldestra. Chi può pensare che una sola persona, per quanto ispirata ed eccezionale, possa condurre e vincere una quotidiana battaglia contro l’opacità di una parte della Chiesa e contro i privilegi cui essa non vuole rinunciare? Quella del riformatore solitario e titanico è una narrazione antica, specie sul terreno religioso, dove i capi sono anche vestiti in modo diverso da tutti gli altri: il papa cattolico di bianco, la somma di tutti i colori, come se il pontefice fosse non solo il rappresentante di Cristo in terra, ma l’insieme di tutti i credenti.



Un uomo-popolo, insomma. Sorretto dal dogma dell’infallibilità, il papa dei cattolici sembra poter plasmare il pensiero della propria religione, modificando a proprio piacimento norme, decreti, sacramenti, teologie. Non è così. Anche nella chiesa si ricrea la società: emergono idee e interessi diversi da quelli di papa Bergoglio, comportamenti orientati al raggiungimento di altri fini, condotte morali persino stridenti nel loro raffronto con ciò che esprime ogni giorno il pontefice. E dunque l’ordine monocratico, il puro comando dell’infallibile, non è portatore immediato di consenso né di pacificazione. Occorre allora prendere atto della diversità di opinioni, che nasconde i reali rapporti di forza. E misurare la propria ambizione rivoluzionaria con le possibilità offerte da un’organizzazione ecclesiastica in gran parte figlia del passato, con figure di primo piano della Curia romana che agiscono usando tutti i registri dell’agire politico contemporaneo, dalla comunicazione strategica del dissenso alla minaccia di un crollo apocalittico di valori e strutture millenari. Si può convenire su un punto: la religiosità cattolica è quella che si presenta più a rischio di sfilacciamento in un mondo a forte accelerazione tecnologica e competitiva. Tra le grandi religioni del mondo, il cattolicesimo è il più fragile: non ha la compattezza etno-culturale dell’ebraismo né la partecipazione corale e intensa dell’Islam, né l’ossessione della purezza e l’odio verso la modernità dell’induismo. Il cattolicesimo non vuole evitare gli scogli della modernità o far finta che non esistano, e sia Ratzinger sia Bergoglio hanno perfettamente coscienza dell’onda lunga e non reversibile di laicizzazione che attraversa i fedeli.



Inoltre, la Chiesa è stata squassata da comportamenti ripugnanti di molti suoi sacerdoti di vario grado e livello, che hanno provveduto – come nel caso degli scandali a sfondo pedofilo – ad allontanare molti credenti dalla fede e a creare una percezione sospettosa e diffidente sull’istituzione religiosa più vasta al mondo. Jorge Mario Bergoglio non è perciò un uomo capitato per caso in un contesto più grande di lui: il proverbiale attivismo dei gesuiti, del cui ordine è espressione, deve essere sembrato alla maggioranza dei suoi elettori una buona garanzia per votare un cardinale di una periferia del mondo con il compito – trasmesso con la forza di una scossa tellurica dalle dimissioni di Joseph Ratzinger – di mettere le mani a un progetto di riforma radicale. E Bergoglio si è gettato a capofitto nella sua battaglia, senza risparmiare un grammo di energia. Ha messo anche il suo corpo nella lotta, ha dato la possibilità alle telecamere di scrutarlo, ai giornalisti di interrogarlo, alle abitudini cerimoniose di andare in frantumi sostituite da una spontaneità che ai più è sembrata autentica, e così – per contagio psicologico – anche ogni gesto riformatore è stato accolto con una plusvalenza in più, qualcosa che ha inscritto Bergoglio nelle schiere dei rivoluzionari.



Nella mente dei cattolici che hanno ripreso fiducia nella propria fede grazie a papa Francesco è d’altronde ben chiaro che l’insieme delle risorse di cui dispone la Chiesa deve essere impiegata nella direzione di una continua opera di solidarietà universale, e che la comunità religiosa è salda solo se si muove con coerenza verso i valori di umanità espressi con chiarezza nelle scritture. Per questo Bergoglio ha scelto di convocare sinodi e giubilei e di pubblicare encicliche, avviando insieme la bonifica di quelle istituzioni vaticane che nei decenni scorsi hanno pulsato in sintonia con poteri politici e illegali più che con i vangeli: perché la situazione è potenzialmente così grave da rischiare il collasso, e bisogna cercare una rifondazione su basi solide. Il percorso vale più delle singole tappe: così credo che Bergoglio abbia messo in conto di poter decelerare su alcuni punti purché una nuova sferzata di autenticità spirituale e materiale pervada il mondo cattolico.



Bergoglio ha i suoi uomini nelle periferie del Sud del mondo e nella comunicazione, prelati che hanno assistito con stupore alla chiamata del papa ma che oggi hanno già cumulato una discreta esperienza. Non tuttavia quanto chi è collocato nella curia da decenni e che dispone di reti e di segreti che nemmeno la più corretta e documentata delle inchieste giornalistiche riuscirà mai a far emergere in toto. Dunque uno scontro è evidentemente in atto, e non è detto che l’entusiasmo e lo zelo di Bergoglio e dei suoi uomini sia in grado di poter creare le condizioni di un rinnovamento religioso stabile. Più che guardare alla lotta tra un sovrano rivoluzionario o anche solo illuminato e un’oligarchia tenacemente conservatrice e privilegiata occorrerebbe veder entrare in scena quella parte della società che sembra apprezzare l’opera di Bergoglio.



È da un’eventuale sollevazione dal basso del mondo cattolico che si vedrà il possibile esito di un pontificato ispirato a San Francesco. Solo se dalle parrocchie e dalle associazioni cattoliche dovesse arrivare un segnale di concreta messa in opera del messaggio di Bergoglio si aprirebbe una prospettiva del tutto nuova, e le oligarchie conservatrici si ritrarrebbero. Anche senza essere esperti vaticanisti è evidente che in questi giorni si stanno dispiegando molti tentativi di indebolire il papato. Certamente un giornalismo d’inchiesta serio e capace di comunicare ai lettori le nuove insidie mondane dei poteri vaticani ha il suo ruolo in questa fase, ma più di ogni altro avrà valore chi articolerà dal basso il messaggio evangelico, spostando le telecamere dal solo volto di Bergoglio per rivelare (l’eventuale) disegno collettivo di una nuova solidarietà.