Vaccini e Xylella, se la politica insegue il circo impazzito della rete

Vaccini e Xylella, se la politica insegue il circo impazzito della rete
di Claudio SCAMARDELLA
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Domenica 3 Settembre 2017, 17:41 - Ultimo aggiornamento: 5 Settembre, 16:49
Non è bastata la durissima lezione sulla xylella, le cui drammatiche conseguenze il nostro territorio sarà costretto a vivere per moltissimi decenni. Non sono bastate le “bolle”, le “balle” e gli inconcludenti annunci su Ilva, gasdotti, decarbonizzazione. Ci voleva anche la vicenda dei vaccini, nella sua variante pugliese ben raccontata da Renato Moro nelle pagine interne, a confermare l’intreccio aberrante tra l’impazzito circo dei social e ciò che è rimasto della politica, della capacità di governo, della funzione della classe dirigente.
Accade ormai sempre più spesso, soprattutto in Puglia, che chi governa e ha responsabilità istituzionali si limiti a fare “surfing” nel regno della comunicazione digitale, anziché andare in profondità, indicare la marcia, costruire il senso, cercare sintesi tra interessi contrapposti e visioni divergenti. Accade sempre più spesso che chi è chiamato, per ruolo, a dare una soluzione ai problemi si limiti, piuttosto, a cavalcare e a inseguire le onde dell’immediatezza e dell’emotività dettate dalla rete, dove prevale l’estremismo delle parole e dei gesti, assecondando ribellismo e spontaneismo, aggiungendo anzi carichi da novanta nelle “piazze della rabbia” invece di svuotarle, come è compito di un uomo di governo, soprattutto quando la rabbia viene alimentata da notizie manipolate, false verità e competenze farlocche.
Una miscela esplosiva. L'effimera gestione dell'emotività, dell'immediatezza, delle notizie manipolate si sta di fatto rivelando il fattore principale per conquistare o conservare il potere. Garantisce visibilità, contatti, “like” e consensi. Molto più della soluzione stessa dei problemi. Una sorta di “doroteismo 4.0”, ma con una variante non di poco conto: riducendosi a fare “surfing” nella comunicazione digitale, la politica finisce per separarsi definitivamente dalla storia, non seguire alcuna traiettoria, appiattirsi sulla superficialità quotidiana della rete, abdicare alle sue funzioni fondamentali e, in primo luogo, a quella che Max Weber chiamava “etica della responsabilità”. Con il risultato che i problemi e le questioni restano senza soluzione, compaiono e scompaiono come le onde, ma si incancreniscono in profondità e si autoalimentano. La Puglia, con il governatore Emiliano, sta diventando una sorta di laboratorio del “surfing” politico e di governo, con non pochi imitatori tra sindaci emergenti e amministratori comunali.
Il processo, intendiamoci, non nasce e non muore in Puglia. Stiamo pagando i guasti enormi prodotti nelle democrazie occidentali, nel nostro Paese e qui, intorno a noi e nel territorio in cui viviamo, dal sempre più rabbioso disprezzo verso le competenze, le conoscenze, la scienza, lo studio, gli approfondimenti, l’esperienza: in una sola parola, verso l’intellettualità. C’è chi ha “scientificamente” programmato, perseguito e diffuso l’illusione che la cultura del clic e la veloce consultazione di wikipedia potessero rendere completamente inutili e superati gli esperti, gli studiosi, gli scienziati e, dunque, le professionalità. Nella politica. Nel governo. Nei saperi e nella formazione. Come nell’informazione. È stato un preciso obiettivo demolire, spaccare, disintermediare, frantumare le cosiddette élite e le classi dirigenti, in nome di quella falsa “orizzontalità” democratica garantita dalla rete che annulla e dileggia la “verticalità” dei saperi e la “settorialità” delle competenze. Come se la rete fornisse tutto il materiale informativo necessario, garantendo una struttura formativa enciclopedica a tutti. E come se, sulla base del molto ambiguo principio “uno vale uno”, chiunque potesse occuparsi di qualsiasi cosa, interloquire su qualsiasi argomento, affrontare e risolvere qualsiasi problema, governare qualsiasi istituzione.
È così che abbiamo assistito negli ultimi anni alla proliferazione dei tuttologi da clic, improvvisati “cultori” di materie, autodidatti formatisi nella superficialità della rete che si ergono a conoscitori di saperi, competenti di settori fino a ieri nemmeno sfiorati, frustrati quanto aggressivi leoni da tastiera che - per visibilità e protagonismo - trasformano ogni questione al centro del dibattito pubblico in una insulsa e volgare arringa contro la cosiddetta casta a prescindere (da brividi ciò che è accaduto qualche giorno fa all’ex sindaco di Lecce, Paolo Perrone, che ha postato sulla sua pagina Fb una foto con la figlia accompagnata da un commento del tutto personale), contro gli esperti, contro chi ha studiato e ne sa di più. È così che sono diventati sempre più labili i confini tra scienza e stregoneria, tra studiosi e ciarlatani. Ed è così che si è giunti al paradosso di esaltare come valore l’incompetenza e l’improvvisazione nella gestione dei poteri, vagheggiando il falso mito della democrazia diretta e sorvolando, non a caso, sulla grave e mai risolta contraddizione emersa già negli scritti del suo teorico, Jean-Jacques Rousseau, tra “volontà generale” e “volontà di tutti”. Una contraddizione in cui si annidava e si annida il fondamentale e taumaturgico ruolo del “capo virtuoso e puro”, più virtuoso e più puro di tutti gli altri. Ma non c’è bisogno di scomodare Rousseau per vedere già oggi i giganteschi vuoti che sta lasciando la demolizione della cultura della rappresentanza, la contestazione delle competenze, la guerra frontale agli esperti. Vuoto di classe dirigente. Vuoto di governo. Dunque, un pericolosissimo vuoto democratico. Nell’attesa, ovviamente, del “capo virtuoso e puro”, più virtuoso e più puro degli altri.
Il problema è quando tutto ciò diventa metodo sistematico di (non) governo. Proprio in terre come la Puglia e il Salento, da anni al centro di un impetuoso quanto confuso processo di cambiamento e di riconversione del modello di sviluppo, si avvertono gli effetti devastanti della costante semplificazione di questioni complesse, di problemi che richiedono risposte e soluzioni specialistiche, con la messa in discussione fino a ridicolizzare pubblicamente le competenze e, soprattutto, con la confusione e gli scambi di ruoli, la sovrapposizione di poteri e contro-poteri, le continue e reciproche invasioni di campo.
Sorvoliamo pure sul folclore dei vaffa-day, delle scie chimiche, dei chip sottopelle, delle sirene. Sorvoliamo anche sulla stolta e incolta iniziativa del Consiglio regionale pugliese di istituire una giornata alla memoria delle vittime nel Sud durante il processo di unificazione dell’Italia. Sorvoliamo su congiuntivi, sgrammaticature, gravi lacune in storia e geografia di aspiranti candidati al governo di città, Regioni e Paese. Ma non è possibile sorvolare su ciò che è accaduto con la xylella, un caso di scuola, ancora più dei vaccini, che meriterebbe di essere oggetto di studio e anche di tesi nelle facoltà di Sociologia e di Scienza della comunicazione.
A distanza di tre anni, con il flagello ancora in corso e che avanza indisturbato uccidendo migliaia di ulivi ogni anno, abbiamo una diecina di scienziati sotto inchiesta, dopo una terza (terza) proroga delle indagini, messi alla berlina nelle piazze virtuali e reali del Salento dai professionisti delle false verità, da chi senza alcuna conoscenza scientifica negava l’esistenza del batterio, bollava la xylella come una bufala, inventata dai giornali per coprire gli interessi speculativi delle grandi multinazionali, parlava di complotto internazionale contro il Salento, avversava tutto ciò che veniva detto dalla scienza sostenendo che non c’era bisogno di alcun intervento perché sarebbe stata la stessa natura a mettere tutto a posto, inneggiava a santoni locali che parlavano di cure miracolose fatte in casa, insultava e minacciava i giornalisti che facevano semplicemente il loro mestiere. Roba da medioevo, da antiscientismo preilluministico, da tribunale dell’inquisizione con processi e sentenze di condanna già scritta.
Persino i magistrati disquisivano del batterio con piglio da competenti, contestando analisi e scenari avanzati dagli scienziati e dagli esperti. Senza dimenticare che l’allora neo-governatore Emiliano e gran parte dei politici pugliesi salutarono come una “liberazione” l’apertura dell’inchiesta della Procura di Lecce, l’archiviazione del piano Silletti e la fine dell’emergenza con commenti entusiastici sui social. Complimenti.
Gli effetti nefasti di quella stagione sono sotto gli occhi di tutti. Andate per i campi, parlate con gli agricoltori, verificate quanti danni sono stati provocati dal fronte negazionista e dal “surfismo” della politica. Eppure, sul banco degli imputati restano oggi solo gli scienziati. Nessuno dei negazionisti, guidati da cantanti e attori improvvisatisi scienziati senza aver mai letto un libro, ha avuto l’onestà intellettuale di chiedere almeno scusa per il grande abbaglio e le gravissime conseguenze subìte dal territorio. Già, perché l’èra dell’incompetenza e dell’improvvisazione è anche l’èra dell’irresponsabilità. Non solo. Il “surfismo” politico, oltre alla visibilità e all’irresponsabilità, consente anche l’incoerenza senza pagare pedaggio: basti pensare, dopo l’urlante vociare della rete, alle clamorose giravolte di partiti, parlamentari, consiglieri e assessori regionali, sindaci e amministratori locali sul gasdotto Tap e sul destino dell’Ilva a Taranto per lucrare consensi. Da sponsor a irriducibili barricaderi. Di nuovo complimenti.
La deriva è inarrestabile? No. Proprio ieri, a proposito dell’incredibile scontro sui vaccini, la scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo ha scritto parole sacrosante: “Non è bello perdere i cittadini nella battaglia alla conoscenza e alla civiltà. Dobbiamo capire come recuperarci a vicenda. La scienza è difficile e dobbiamo imparare a spiegarla meglio”. Verissimo. Ma se la politica diventa parte del problema e non della soluzione, la battaglia è persa in partenza. Perciò, se ciò che è rimasto della classe dirigente in Puglia è capace ancora di un susulto, è l’ora di farsi sentire, di chiedere conto, di rompere la cappa di silenzio e di fermare questa pericolosa deriva, lasciando al loro destino i “surfisti” della politica e ricominciando a recuperare la cultura della profondità. E della competenza. Altrimenti, si è semplicemente complici.

 
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