Taranto, ripartire dal basso nella città del non voto

La gioia di Melucci
La gioia di Melucci
di Giovanni CAMARDA
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Lunedì 26 Giugno 2017, 13:48
Non aveva dubbi nemmeno Stefania Baldassari, per quanto abbia cercato di battersi fino alla fine senza mostrare cedimenti. Ma anche la direttrice del carcere, in aspettativa, sapeva da almeno una settimana quale sarebbe stato l'epilogo del ballottaggio. Lo aveva intuito assistendo al repentino mutamento del quadro politico attorno a sé e, soprattutto, attorno al suo competitor.
Mentre la coalizione di Melucci incassava in rapida successione il sostegno di Bitetti, l'unico ufficialmente apparentato, di Sebastio e di Brandimarte, lei restava sempre più sola, a dispetto dei tentativi di allargare il fronte. Porta aperta per tutti, aveva detto, ma nessuno ha mai varcato quella soglia, né il fuoriuscito (e rientrato?) Pd, e nemmeno gli altri: l'ex procuratore (rapidamente derubricato da mito a bersaglio) e il magistrato passato dalla pensione alle telecamere di Forum.
Nella sua ultima intervista, Baldassari ha rivelato che le avevano fatto credere altro - in particolare Bitetti - salvo poi accordarsi con l'avversario. Può darsi abbia pagato anche una certa inesperienza nel settore e la vistosa distanza nell'ultimo periodo dei partiti che l'appoggiavano, Forza Italia e Direzione Italia, il cui ruolo è venuto platealmente meno nella fase cruciale.
Quanto agli altri, Cito è rimasto a guardare, come avrebbero dovuto anche alcuni personaggi del suo entourage, immortalati in indecenti ed emblematiche esibizioni social, materiale per commedie in vernacolo da vietare ai minori; Nevoli, Fornaro e lo stesso Romandini si sono coerentemente chiamati fuori per tempo. Ininfluente Lessa con il suo 1%.
Melucci sindaco, tuttavia, è un verdetto che un mese fa sarebbe stato azzardato prevedere, per molte ragioni. Il raccomandatario marittimo, per cominciare, è arrivato alla candidatura dopo un percorso tortuoso che aveva già portato il Pd e i partiti della coalizione a bocciare altre opzioni non ritenute adeguate. Un ripiego, quindi, che inizialmente aveva suscitato qualche perplessità e pochi consensi. Dalla sua, comunque, i tratti di un profilo nuovo rispetto ai vecchi arnesi della politica: quarantenne, preparato, entusiasta. Vinta la timidezza iniziale, si è mostrato a proprio agio nella contesa elettorale, sciorinando ragionamenti di senso compiuto con una dialettica convincente.
Però, era sempre il candidato del Pd, un fardello tutt'altro che leggero nella città dell'Ilva, largamente ostile alle scelte del governo ma anche alle prese di posizione dei leader locali del partito a sostegno - all'epoca - di Renzi (si ricorderà la dura contestazione nei confronti di Pelillo). A Taranto, inoltre, i dem avevano sempre trovato il modo, negli ultimi dieci anni, di puntellare la barcollante maggioranza di Stefàno, salvo prenderne le distanze a parole. Insomma, essere il candidato del Pd non era certamente garanzia di successo.
Quello che è accaduto nelle ultime due settimane, però, ha una sua logica. Fondamentalmente, Melucci è parso agli elettori più idoneo al ruolo, meno approssimativo sui temi da affrontare, in grado di comunicare meglio, di rassicurare di più. Ha guadagnato punti e consensi prendendo le distanze dai ministri del suo Governo (Emiliano docet), cercando così di ritagliarsi uno spazio di autonomia rispetto agli ordini di scuderia. Per quanto coraggiosa, una posizione tutto sommato agevole in campagna elettorale; lo sarà meno da domani, quando con il Pd dovrà confrontarsi sulle cose da fare, sui fatti concreti, sulle decisioni da prendere. Dovrà mettere gli interessi dei tarantini al primo posto, anche quando non coincidenti con le direttive del partito: sarà un po' più complicato che mandare a quel paese De Vincenti da candidato sindaco.
Lo attende un compito immane, obiettivamente. Proprio per questo dovrebbe cominciare dal livello più basso, da operazioni abbordabili e tuttavia importanti, significative. Chiarito che sui grandi temi il suo ruolo è, sarà, fisiologicamente marginale, sarebbe fondamentale dimostrare alla città che esiste la possibilità di cambiare, di crescere, di migliorare. Ci sono numerose questioni che possono essere affrontate e risolte senza dover passare necessariamente dal vaglio o dal placet di Roma o Bruxelles.
Ci sono tanti aspetti della vita di tutti i giorni in questa città che offendono la dignità delle persone e rendono quasi insopportabile essere, sentirsi tarantini. È da qui che Melucci deve cominciare, da piccoli grandi problemi irrisolti da anni. Sarebbe già un risultato straordinario riuscire a dare a Taranto un aspetto migliore, strade più pulite per esempio, un trasporto urbano degno di questo nome, una sensazione di legalità più netta, qualche vigile urbano in più in servizio anche lasciando sguarnita qualche stanza in via Acton. E ancora: una spinta decisa verso la raccolta differenziata dei rifiuti, un contrasto serrato a ogni forma di abusivismo, forme di dialogo e collaborazione con tutte le realtà produttive del territorio. Iniziative per la valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico della città, l'accantonamento definitivo di manifestazioni e appuntamenti degradanti, insulsi, di nessun ritorno per Taranto, né economico e tantomeno di immagine.
Non sono programmi fantascientifici, anzi è già umiliante considerare come traguardi condizioni che altrove rappresentano invece la normalità, per giunta raggiunta da decenni. E non è nemmeno il caso di immaginare chissà che, o parlare di modernità. Sarebbe uno straordinario traguardo se il nuovo sindaco avvicinasse Taranto non al futuro ma almeno ad una più diffusa consapevolezza di vivere in una città civile, i cui abitanti - per esempio - siano abituati ad andare a votare quando si tratta di scegliere da chi farsi governare senza demandare ad altri, ad una minoranza (in questo caso il terzo degli aventi diritto), una decisione che poi influirà sulla vita di tutti.
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