La fame di sicurezza in un Paese che ha paura di cambiare

La fame di sicurezza in un Paese che ha paura di cambiare
di Biagio de GIOVANNI
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Domenica 19 Marzo 2017, 16:14
Nel disordine del mondo, degli stati e delle città europee sta emergendo un nuovo tema con sempre maggior forza, quello del rapporto tra sicurezza e libertà. Le occasioni perché il tema si rinfocoli sono le più diverse, dagli atti di terrore sotto la cui minaccia vive l’Europa alle insicurezze crescenti che attraversano sia le periferie sia nel loro insieme gli agglomerati urbani. L’aggravarsi della crisi economica e sociale, le coesistenze mal governate di gruppi umani tra loro estranei, l’inasprirsi, in certe zone, della criminalità minuta o organizzata, segnalano i nuovi significati di incertezze sempre più presenti, di una insicurezza talvolta assillante che contribuisce perfino a un malessere del vivere. Il problema non è risolto dal richiamo a stastistiche le quali, non di rado, mostrano che, alla fine, non sempre c’è corrispondenza tra le sensazioni che tanti cittadini vivono e l’effettivo aggravamento della situazione criminosa, per far l’esempio estremo.

Ma in questione non sono le statistiche, ben altro ribolle nella pentola delle società, ed è anzitutto su questo che bisogna poggiare l’attenzione. Con una premessa che si avverte il bisogno di porre, quasi in epigrafe: il luogo comune è che chi invoca sicurezza è di destra, chi invoca libertà è di sinistra, stereotipi che, qualunque valore in se stessi possano avere come richiami a una generale tendenza culturale, restano lontani dallo stato attuale delle cose e dall’irrompere di nuovi problemi e sensibilità. Ora, ancora in premessa, vorrei porre una affermazione che nel tempo si è progressivamente perduta di vista: la sicurezza è il primo diritto di ognuno, viene prima di ogni altro diritto, assicurare la conservazione della vita e il suo agevole movimento furono il contenuto del primo “contratto” che, alle soglie dell’età moderna, si stabilì tra lo Stato e i suoi, allora, sudditi.

Dicevo: non è solo questione di statistiche. Le nuove insicurezze non sempre passano attraverso quella griglia, per dir così quantitativa, giacché esse nascono e si elaborano in contesti e avvenimenti diversi, nella caduta delle aggregazioni sociali e culturali, nell’accentuarsi della solitudine d’ognuno, nella crisi dei recinti protettivi di varia natura, personali e associativi, famigliari e politico-sociali, entro i quali il senso della sicurezza guadagnava punti e si assestava. La lotta all’insicurezza prende dunque una nuova centralità, riguardando la vita d’ogni giorno e cose più profonde e immanenti nella situazione che si disegna nel mondo. Altro che patrimonio di una parte politica! Chi se ne sentisse lontano si collocherebbe fuori dai caratteri della odierna condizione umana.

Temi di grande profondità e temi minuti si accavallano, così, l’uno sull’altro, complicando il significsto della parola “sicurezza” che va dal problema nuovo dei confini esterni dell’Unione europea, ai temi di convivenza urbana, alla difesa da un comportamento caotico e irragionevole che si espande, in una situazione dove diminuisce il collante culturale come il nucleo che tiene insieme una società. Siamo circondati da comportamenti irragionevoli e incolti: imbrattare i monumenti alterandone il carattere non è più scorribanda casuale di ragazzini, ma fa quasi parte di una volontà “professionale” di disprezzo del passato, fino a volerlo rendere irriconoscibile, e anche questo gioca con il senso della insicurezza, con un impoverimento delle strutture mentali entro il quale essa prospera, e bisogna intervenire con la necessaria durezza, non è questione di decoro urbano, ma di difesa della cultura.

E poi il mescolamento di tutto, e di tutti, che una civiltà deve promuovere, ma deve anche saper governare, sia con i necessari processi di integrazione di chi viene da lontano sia con processi educativi e scolastici per tutti. Ma la situazione è carente, e l’insicurezza si tocca con mano, nell’allentamento dei vincoli comportamentali, nel malessere dei rapporti personali, in un permissivismo che vorrebbe somigliare a un accompagnamento virtuoso della libertà, e di fatto diventa una accondiscendenza all’arbitrio e una facilitazione al consolidamento di rapporti di potere nascosti.

E avviene l’inevitabile, che quando il governo di una democrazia comprende (inizia a comprendere) la necessità di intervenire, come è avvenuto in Italia qualche giorno fa, nel tentativo di porre qualche limite ad arbitrii dilaganti, dietro i quali, in certe realtà, si muovono poteri nascosti che così arricchiscono le loro casse e il loro dominio; quando il governo interviene nel tentativo di mettere un po’ d’ordine anche alla invasività dell’accattonaggio, beninteso senza gravi misure repressive; ecco comparire subito la voce critica e solenne – spesso la voce di chi vive tra grandi e sorvegliate sicurezze - per dire, ecco è la fine della democrazia, il razzismo, il fascismo, la xenofobia hanno toccato i vertici delle istituzioni. E quando chi prende certe decisioni di governo osa chiamarsi “democratico”, non foss’altro perché “democratico” si chiama il partito che quel governo forma, allora apriti cielo, questo non conta niente, neanche consiglia un atteggiamento appena più prudente, pure critico ma dialogante, minimamente problematico. Che quel provvedimento possa aprire un nuovo capitolo nel combattere l’insicurezza, dando più voce ai sindaci, con parte dei quali il provvedimento stesso è stato scritto, non vale, ecco che voci solenni, di varia origine, si ergono a giudici universali, di ultima istanza. No, tutto è brutto, tutto da buttar via, questa la lezione impartita, con stile tonante, da Roberto Saviano, ieri, sulle colonne di “Repubblica”.

Ora vedremo, quando le cose si assesteranno, i progressi, le decisioni da modificare, da approfondire. Ma non è possibile che il nostro sia un paese dove se qualcuno osa spostare qualcosa nel pantano che ancora ci circonda, osa mettere mano a un problema impegnando in esso governo e parlamento, tutto deve essere azzerato, nulla si deve muovere, tutti fermi, tutti contenti così. Il tema però travalica la questione della sicurezza cui la riflessione è dedicata, e tocca lo stato dell’Italia. Mi fermo qui, perciò, c’è già abbastanza su cui riflettere.
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