Le carte di Renzi in attesa della rivincita

di Mauro CALISE
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Martedì 6 Dicembre 2016, 20:29
l cambiamento che Renzi ha imposto al sistema politico italiano si è avvertito - paradossalmente - ancora più forte nel momento in cui ha lasciato il comando. Rassegnando le dimissioni in diretta televisiva, tagliando netto, senza complimenti e parafrasi, il nodo della crisi che si è aperta con la sconfitta di domenica. E confermando, a chi ancora avesse dubbi, che la democrazia parlamentare è ormai, di fatto, una democrazia del leader. È il leader che ne tira le fila. E quando queste fila si spezzano, va a casa. Lasciando a un altro leader il compito di sostituirlo. Perché è questo l'unico tema che si impone, da ieri, sulla scena politica.

La dichiarazione con cui il premier uscente ha lasciato all'eterogenea armata del fronte referendario l'onere di venire a capo di una nuova legge elettorale è, formalmente, un atto dovuto. Ma nasconde non senza un filo di ironia la certezza che dall'accozzaglia, come il premier l'aveva frettolosamente chiamata, dei suoi oppositori molto difficilmente verrà fuori una proposta maggioritaria. E sarà questa la prima palude in cui incapperà il tentativo di sostituire il premier. Per non parlare della necessità di dar vita a un nuovo esecutivo, con un nuovo primo ministro. Con Renzi che se ne starà alla finestra, ma ancora con il pacchetto di voti in Parlamento indispensabili per la fiducia. Renzi rimane, dunque, con alcune importanti carte in mano. Ma è consapevole che la sconfitta è sonora. Più di quanto lui avesse previsto. E più di quanto avesse sperato lo stesso fronte dei suoi oppositori.

Certo, si può sostenere che quel quaranta e rotti per cento di voti andati al Sì è una percentuale simile (ma con due milioni di voti in più) a quella che, alle europee, aveva fatto decollare Renzi nell'empireo dei leader europei. E, oggi, questi voti li ha presi pur avendo contro una parte importante del suo partito. Con una formula abusata, questo potrebbe essere l'esordio del Partito della nazione. Ma si tratta di un territorio instabile, friabile, facilmente scomponibile. E per consolidarlo Renzi deve poter continuare a gestire la macchina del Partito democratico. Oggi, è questa la scelta più difficile. Anche per il suo temperamento, Renzi è tentato di mollare, andarsene sull'Aventino. E ripartire chissà come e quando con un'ennesima lunga marcia. Ma optando per questa strada solitaria, lascerebbe il paese in balia della ingovernabilità che è diventata subito palpabile. Con i mercati che cominceranno a ballare, le opposizioni a straparlare. E i grillini a festeggiare l'ipotesi di sbarcare a Palazzo Chigi. Se il presidente del Consiglio dimissionario abbandonasse anche il partito, non metterebbe soltanto a repentaglio il proprio destino personale. Ma anche quello del Paese. Sapremo nei prossimi giorni gli orientamenti che prenderà il premier dimissionario. E molto, certo, dipenderà dai colloqui al Qurinale col Capo dello Stato.

L'unico dato sicuro, al momento, è che non cambierà né oggi, né in un futuro prevedibile la carta costituzionale. Tutto il resto, invece, è in movimento. E in una Europa che sta scivolando veloce nel vortice dell'antipolitica, l'Italia non sembra più capace di offrire un'alternativa, e un'ancora.
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