Un “No” ai poteri che vogliono democrazie deboli

di Sandro FRISULLO
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Venerdì 2 Dicembre 2016, 17:36
Quale che sia l'esito del referendum ci ritroveremo un Paese più diviso e lacerato. E pure la Costituzione nacque come nuovo patto di convivenza pacifico e repubblicano in un'Italia che aveva subito una dittatura e una guerra che l'avevano prostrata. Perché uno scontro così radicale e persino violento nel suo linguaggio?

La personalizzazione politica impressa da Renzi (ricordate che in piena campagna elettorale per le amministrative della primavera scorsa esternò platealmente che la vera partita politica era quella del referendum?) è stata devastante. Al posto di un confronto sereno sui contenuti della riforma è subentrato un clima intossicato dello schierarsi “a prescindere”. Un manicheismo che distrugge la ragione e schiera le truppe di assalto sostenute da una campagna mediatica asfissiante e costosa. A questo si giunge quando la Costituzione è usata come programma elettorale o per misurare il consenso al leader e al suo governo. Una elementare cultura democratica e liberale delle istituzioni avrebbe dovuto tenere al riparo la Costituzione dalla normale dialettica politica e dalla contesa per il governo del paese.

La Costituzione non è alla mercé del singolo partito o delle maggioranze di turno che alternandosi possono sentirsi legittimate a stravolgerla nella forma e nei contenuti. I sostenitori della riforma richiamano spesso la necessità di rendere più spedita la decisione e assicurare maggiore stabilità e governabilità. A parte l'ovvia considerazione che, a Costituzione vigente, la nostra produzione legislativa è tra le più prolifiche in Europa (150 mila leggi!), bisogna poi aggiungere che fondamentali leggi di questa e di precedenti legislature (dalla Fornero al jobs-act) sono state deliberate in poche settimane ricorrendo spesso alla decretazione d'urgenza. A conferma che a rendere veloce o lenta la decisione politica non è la presunta farraginosità del procedimento legislativo, quanto la mancata coesione politico-programmatica delle maggioranze di governo.

La governabilità non è minacciata da cattive regole e pratiche consociative, né dalla volontà ostruzionistica del Parlamento. Il Parlamento, già oggi, è largamente esautorato dalla sua più qualificante funzione, laddove l'80% della produzione legislativa prende avvio dall'iniziativa del governo. E nonostante ciò si pretende di ridurre ulteriormente le prerogative e l'autonomia del Parlamento a favore di una concentrazione e verticalizzazione dei poteri del governo e dello stato centrale. Ma un'idea democratica della Costituzione deve prevedere due “centralità”: un governo nella pienezza dei suoi poteri e una assemblea parlamentare che eserciti efficacemente funzioni di controllo, di sindacato ispettivo e di proposta. Un rapporto equilibrato tra governabilità e rappresentatività. Un sistema di garanzie e di bilanciamento dei poteri. Avendo riguardo per il ruolo della opposizione, la cui esistenza qualifica il regime democratico e lo distingue da quelli autoritari o dispotici (laddove il tema della decisione e della governabilità è stato risolto in radice).

Non appaia un richiamo pedante o banale. L'oggetto del referendum non può essere democrazia decidente contro democrazia inconcludente. Attenti alla mistica della decisione. Il tema è come si decide: attraverso un percorso partecipativo e una deliberazione democratica. O arrendendosi alla deriva oligarchica, dei pochi che comandano non certo nell'interesse dei molti? Sono i padri del costituzionalismo liberale a ricordarci che il potere va limitato e controllato da un altro potere, per evitare abusi e arbitrii. Catastrofismo? No, legittima preoccupazione di quanti, come me, leggono questa riforma intrecciandola con l'Italicum le cui disposizioni ipermaggioritarie consegnerebbero un potere enorme (55% dei seggi alla Camera) alla forza politica e al leader (non necessariamente Renzi) che piglia il 25% dei voti. Con uno slittamento, di fatto, verso la forma presidenziale del governo, priva, però dei suoi contrappesi. Si ha la netta impressione che si voglia definire una nuova "regolazione" delle istituzioni - più dirigistica e verticistica - capace di adattarsi meglio alle “esigenze” di un’economia globalizzata e di un capitalismo finanziario sempre più insofferente ai controlli e alla trasparenza. Sono le politiche neoliberiste e le grandi concentrazioni finanziarie che postulano una democrazia debole e destrutturata. Di qui l'illuminante definizione di JP Morgan secondo cui ci sarebbe “troppo socialismo” nella nostra Costituzione. Come a dire c'è troppa tutela per il mondo del lavoro, troppo spazio ai diritti sociali e di cittadinanza, a partire dall'universalità del diritto alla salute, all'accesso a un'istruzione qualificata per tutti, ricchi e poveri. In altre parole, c'è troppa democrazia e libertà sino a prevedere lo “scandalo” dell'uguaglianza. Ma noi a questa Costituzione (pur bisognevole di poche e condivise modifiche) siamo affezionati e ce la vogliamo tenere ben stretta. Per questo votiamo “no”.
 
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