Dai territori una risposta adeguata alla Puglia “baricentrica”

di Chiara MONTEFRANCESCO
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Domenica 22 Gennaio 2017, 20:16
Prima c’erano le Puglie. Con i Dauni al nord, gli Japigi al centro ed i Messapi al sud, e con i greci dorici a sud-ovest. Poi, nei tempi più recenti, la Puglia policentrica con le sue tante città, i suoi teatri, i poli industriali, i suoi porti, le sue vocazioni . Da ultimo negli anni settanta e ottanta del secolo scorso, l’avvento dei distretti produttivi sulla scia della via adriatica allo sviluppo, trainati dalla forza del mercato estero: l’Europa e gli Usa, i Balcani e il Nord Africa ed anche il Medio Oriente.
Ed infine, a completare il quadro, l’esplosione delle vocazioni turistiche, culturali, agricole, ambientali. Il panorama pugliese si presentava ricco e variegato in ogni sua parte. Anche il potere era frazionato, distribuito sul territorio. Le leadership politiche avevano un senso ed un peso. E lo Stato centrale anche. Per strappare il raddoppio e l’elettrificazione da Bari a Lecce ci vollero cento anni e tante lotte. Per il raddoppio della statale 16 diversi decenni e tante proteste.
Poi arrivò il potete delle Regioni e con le Regioni un nuovo centralismo. Basato sul potere dei territori e delle loro espressioni politiche. Chi era più forte, meglio organizzato, geograficamente strategico rispetto ai nuovi poteri, batteva le carte.
Il centralismo regionale sostituì il centralismo statale. Si poteva, talvolta, anche conquistare la poltrona regionale più alta venendo dalla periferia, grazie alle alchimie politiche o alla forza del proprio partito ma il potere era lì, tutto concentrato al centro.
La regione baricentrica esprimeva ormai la sintesi dei nuovi equilibri. E la Puglia che contava era avviluppata intorno al capoluogo. Lo sviluppo dei territori, così come la distribuzione del potere, le infrastrutture, gli investimenti avvenivano per tracimazione. Poteva arrivare qualcosa in periferia solo a condizione che il capoluogo fosse ricolmo, costantemente ricolmo. In caso contrario, potere, risorse, investimenti si inaridivano. Di conseguenza bisognava alimentare costantemente il “baricentrismo”.
Ed ecco la legge sulle città metropolitane. E la Puglia baricentrica si arricchisce di una città metropolitana. Bari diviene una delle dodici città metropolitane italiane con competenze, poteri e risorse nuove e consistenti. E va ad affiancarsi al potere regionale. In simbiosi. Il resto scaturisce di conseguenza. Le scelte regionali concentrate sul ruolo propulsore di Bari, l’ aeroporto, il porto, la ferrovia... la logistica, lo scavalcamento degli Appennini verso Napoli. In fondo si può arrivare a Bari in un’ora e poco più da Lecce. Ed anche in meno da Taranto o da Brindisi. Dov’è il problema?
Il capoluogo concentra e distribuisce... per tracimazione. Soprattutto se gli altri, in periferia, si esercitano nell’inseguire le benevolenze del potere “baricentrico”. Il potere politico, ma anche il potere economico, culturale. Sollecitando attenzione e accettando prebende e investiture. Ed esercitandosi in duelli rusticani per accaparrarsi ciò che tracima delle une e delle altre. Sui porti e sugli aeroporti, magari anche sulle camere di commercio, sulla mobilità dei cittadini e sui treni normali e freccia rossa, sulla logistica, sulle infrastrutture e sugli investimenti produttivi. E sull’interlocuzione con il Governo centrale. Comunque restando schiacciati dalla concentrazione baricentrica del potere regionale e metropolitano.
Come muoversi in un incastro del genere? Questo problema riguarda essenzialmente la Puglia meridionale. Il Salento in particolare. La Puglia settentrionale gode di una rendita di posizione inattaccabile. La Regione baricentrica non può farne a meno. Può fare a meno del Salento e di Taranto. Spetta a questi territori, pertanto, farsi carico di disegnare una strategia che non li emargini riducendoli alla dimensione di periferia rassegnata, e piagnona. E l’unica strategia vincente non può che essere quella di costruire un sistema urbano, sociale, economico e logistico, a dimensione metropolitana e simmetrico a quello “baricentrico”. Non in contrapposizione ma a completamento.
Se gli atenei “baricentrici” giocano la loro partita nella competizione nazionale, l’ateneo salentino si proponga come sponda per gli studenti del Mediterraneo e il nord Africa, della Cina anche; se l’area metropolitana baricentrica guarda per la logistica e la mobilità alla direttrice adriatica, l’area metropolitana salentina deve raccogliersi intorno agli hub di Brindisi e Taranto e organizzarsi per dare uno sbocco efficiente e competitivo alla mobilità delle persone e del sistema produttivo della Puglia meridionale con un occhio rivolto anche alla dorsale ionica e tirrenica con l’obiettivo di integrarsi con la Basilicata e il nord della Calabria oltre che della Campania meridionale.
E via di questo passo. Certo, a tal proposito diventa indispensabile una visione strategica di grande spessore da parte di chi governa le città. A cominciare da Lecce chiamata a rinnovare la sua amministrazione da qui a qualche mese. Governare la città pensando di costruire una grande area metropolitana condivisa sul piano della mobilità, dei trasporti e della logistica, sul piano culturale e dell’offerta turistica, sul piano degli investimenti produttivi e dell’attrazione di risorse esterne, sul piano della formazione e dell’università.
Avendo consapevolezza prima di ogni altra cosa che le scelte che si andranno ad adottare dovranno guardare agli interessi di una grande area e della popolazione che su di essa insiste e che è di gran lunga più numerosa della sola popolazione residente.
Si tratta di muoversi avendo coscienza di essere area metropolitana anche se non riconosciuta dalla legge. Con la volontà di costruire il proprio futuro piuttosto che di inseguire i rivoli di una tracimazione di derivazione baricentrica.
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