La politica dei veleni spinge il Paese verso una "china spagnola"

di Mauro CALISE
4 Minuti di Lettura
Domenica 5 Marzo 2017, 19:29
Renzi sta faticosamente cercando di riprendere l’iniziativa. Non sarà facile. Lo schema della partita è molto semplice. Da una parte c’è un leader, l’unico oggi su piazza nell’area di centrosinistra che possa aspirare a questo titolo. Per unanime riconoscimento dei suoi avversari – mezzo interni e mezzo esterni – che, dall’altra parte, proprio per questa ragione vogliono farlo fuori. Dopo settant’anni trascorsi – ex-democristiani ed ex-comunisti – a cogestirsi e cooptarsi il potere secondo le logiche dell’aggiustamento oligarchico, l’arrivo del rottamatore è stato – giustamente – percepito come una minaccia letale. La stessa che aveva scompigliato il centrodestra quando scese in campo Berlusconi. Ma mentre il Cavaliere non ha trovato – quasi – resistenza, nel centrosinistra le truppe si sono riorganizzate. E con la sapiente regia di D’Alema si sono riprese la scena. Che è, nell’immediato, la vera e unica posta in gioco.

Renzi, infatti, si nutre di comunicazione carismatica, il rapporto diretto che ha instaurato con una fetta ampia dell’elettorato. Quel famoso quaranta per cento che, alle europee come al referendum, sembra essere la quota massima ma anche una percentuale ragguardevole di italiani disposti a seguirlo. Privo di un bagno di folla – e relativo costume da bagno – l’ex-premier è come un pesce fuor d’acqua. Lo hanno capito bene i suoi competitor – o, più esattamente, terminator, visto che non fanno mistero che una volta spianato lui tutto si aggiusterebbe. E quindi si stanno muovendo con una sola strategia: metterlo mediaticamente in un angolo.

Per un mese sono andati avanti con lo psicodramma scissionista, oggi sono all’attacco – ahi, la giustizia ad orologeria e il vizietto del giustizialismo – con le fughe di notizie, gli arresti, i sospetti e via insinuando con l’appoggio quasi incondizionato della stampa (c’è sempre qualche lodevole eccezione). Si sa che i giornalisti non fanno altro che il loro mestiere, cherchez l’intercettazione. In America c’è un termine apposito, muckraker, rastrellatori di fango. Quanto riuscirà a durare lo pseudoprocesso in cui la – eventuale – onta del padre deve cadere, ma perchè no!, sul figlio? Occhio e croce un paio di settimane. Abbastanza per oscurare il Lingotto (a Londra, forse, qualche bookmaker starà già scommettendo su un avviso eccellente di garanzia mentre avrà preso la parola Renzi). Poi, bisogna inventarne un’altra. E volete che l’oligarchia ex-comunista (il post è ormai finito in cantina) non riesca a tirare fuori qualche scheletro dagli armadi del giglio nero?

Nel mentre che va avanti, coi colpi al viso, il tentativo di kappao, procede anche il lavoro ai fianchi. Orlando si sta guadagnando un ruolo di tutto rispetto. La sua sortita in consiglio dei ministri, ottenendo di porre la fiducia sulla riforma del processo penale che giaceva da anni in naftalina, ha raggiunto un doppio obiettivo. Gli ha dato un po’ di visibilità governativa, mettendo finalmente una stelletta sul suo track-record di Guardasigilli, dopo tre anni in cui si era avvertita poco la sua presenza. Ma, soprattutto, ha fatto incavolare di brutto i parlamentari di Forza Italia, proprio quelli che, nei prossimi giorni, potrebbero essere chiamati a fare da stampella al governo Gentiloni nella mozione di sfiducia a Lotti. A conferma che Orlando ha qualità indiscutibili di manovratore, soprattutto dietro le quinte.

Renzi, per il momento, resiste. Sa bene che, se riesce ad arrivare al campo aperto delle primarie, avrà di nuovo un po’ di vento nelle vele. E, a seconda dell’entità della vittoria, potrebbe perfino riprendersi un po’ di supporto tra i media che oggi lo danno quasi per spacciato ma domani tornerebbero a corteggiare la sua audience. Ma anche una vittoria sonante non muterebbe il dato sistemico con cui Renzi dovrà comunque fare i conti. Nell’Italia neo-proporzionale, nessun partito potrà più contare su coesione e unità d’azione. Se già negli ultimi due anni, una parte di deputati Pd ha votato ripetutamente contro, figuriamoci quante volte accadrà alle truppe di Orlando ed Emiliano. E che tipo di esecutivo potrà mai nascere da questo coacervo di ricatti e veti incrociati?

Forse è vero che l’Italia si sta avviando su una china spagnola. E che le prossime elezioni saranno solo la prova generale del sommovimento più profondo – e tumultuoso – che dovremo affrontare. Con elezioni a ripetizione all’orizzonte. E nuovi partiti in gestazione. Sulla destra, dove finalmente si entrerà nel dopo-Berlusconi. E al centro, dove Renzi potrebbe optare per la via francese. Mettendosi anche lui «In cammino». Con la scelta che, fino a oggi, ha evitato e ancora sta cercando disperatamente di evitare. Facendosi un suo partito personale. E lasciando gli ex e neo-oligarchi al destino dei socialisti francesi. Un partito del dieci o quindici per cento, col quale continuare a coltivarsi le vecchie idee e qualche nuova poltrona.
© RIPRODUZIONE RISERVATA