I Cinquestelle e il dilemma del capo carismatico

Luigi Di Maio
Luigi Di Maio
di Mauro CALISE
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Domenica 24 Settembre 2017, 20:25
Uscisse ora veramente di scena, come ha annunciato per l’ennesima volta, Grillo passerebbe alla storia della politica italiana come un profondo innovatore e, al tempo stesso, un leader geniale. Due attributi che si è meritato, e che tutti – amici e nemici – sarebbero costretti a riconoscergli dal momento che la sua creatura gode ancora di discreta salute. Sarebbe, inoltre, un caso raro. Anzi rarissimo.

Per trovare dei precedenti illustri a questa che, a tutti gli effetti, sarebbe una abdicazione, bisogna andare molto indietro nel tempo. Certo, a prima della democrazia repubblicana, contrassegnata dal fatto che tutti – al governo come all’opposizione - restavano attaccati alla poltrona senza neanche farsi sfiorare dal dubbio di mollarla volontariamente. Grillo, invece, sembra intenzionato a farlo. E questo rende onore al merito anche umano di un personaggio che non ha mai dato l’impressione di inseguire interessi privati. Ma di essere sinceramente animato da una fideistica tensione a scassare. Senza, però, mai trascendere nei toni, argomentazioni e obiettivi che hanno animato l’antipolitica nelle formazioni populiste di destra che hanno messo a soqquadro l’Europa. E che ancora - come dimostra il fiato sospeso in Germania - rappresentano una minaccia per l’ordinamento democratico.

Sul piano ideologico, insomma, a Grillo spetterebbe l’onore delle armi. E ancora di più gli spetterebbe come fondatore di un partito che, negli annali degli ultimi due secoli, risulta un’impresa straordinaria: per originalità, rapidità e – forse il dato più importante – economicità delle risorse finanziarie impiegate. In un’epoca in cui la presidenza americana si conquista con centinaia di milioni, i cinquestelle hanno raccolto il consenso di un quarto e passa dell’elettorato italiano con una piattaforma basata sul crowdfunding e sul controllo gerarchico e centralizzato di due soli capi. Un partito di nuovo modello – per parafrasare il grande Cromwell – che esalta le qualità dei suoi inventori, mettendo al tempo stesso alla berlina la vecchia nomenklatura che è riuscita a farselo crescere sotto il naso.

Mollando adesso realmente la presa, Grillo aggiungerebbe al suo carnet di carismatico stratega un’altra ambitissima medaglia, quella dell’opportunismo tattico. Lasciando la nave mentre ancora va avanti a gonfie vele. Ma, al tempo stesso, senza che il timone sia più nelle sue mani. La rappresentazione a uso mediatico è quella di un anziano magnanimo che dice: restiamo una famiglia ma è il momento di fare largo ai giovani. La realtà è che i giovani si sono fatti avanti con le proprie gambe. A cominciare da Casaleggio figlio, che si tiene ben strette le chiavi della piattaforma che controlla la selezione di tutte le candidature. Una forma abnorme di autocrazia cybercratica che sfiora – e forse supera – la soglia della dittatura. In duopolio con Casaleggio figlio c’è la stella nascente di Di Maio. Che sarà forse una meteorina, come ha sibilato D’Alema. Ma, per il momento, si è preso il braccio operativo dei cinquestelle con tutte e due le mani. Troncando, senza troppi complimenti, quelle dei suoi oppositori interni.

Grillo sa bene che un equilibrio simile è estremamente precario. Ancor più visti i magri risultati della partecipazione al voto. Meno di quarantamila iscritti per scegliere quello che potrebbe, domani, essere il primo ministro. Mettendo a nudo, così, la drammatica fragilità di quella che i grillini hanno chiamato democrazia diretta. Ma che da oggi, per il partito dei dimaìni, verrà prima o poi bollata come oligarchia telematica. Su questo piano, infatti, il consuntivo è davvero fallimentare. A dispetto della fanfara cui si è allineata buona parte della stampa italiana, i votanti per Di Maio sono stati poco più dell’uno per cento dei partecipanti alle primarie Pd. Un dato che rischia di mettere una pietra tombale sulla bandiera che Grillo ha sventolato per cinque anni contro il vecchio establishment.

Certo, per qualche quarto d’ora, le canzoni gridate sul palco avranno aiutato ad allentare il groppo alla gola di un uomo troppo intelligente per non sapere che, dopo e senza di lui, i cinquestelle rischiano seriamente di implodere. Ma che sa anche, dentro di sé, che restando sulla tolda finirebbe, nel migliore dei casi, imbalsamato. Così, cerca di consolarsi dicendo che se ne va, ma non proprio. Ma, come tutti i pannicelli caldi, è una consolazione che non durerà a lungo.
 
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