La ripresa economica della Puglia tra meriti e demeriti

di Valerio ELIA
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Domenica 24 Luglio 2016, 11:41
Il 2015 è stato un buon anno per il mezzogiorno. La sua economia è cresciuta così come gli occupati, con numeri che sono superiori a quelli del resto d’Italia. Non era prevedibile e infatti nessuno l’aveva previsto. Perciò quando l’ISTAT ha presentato le sue stime preliminari c’è stato un moto di stupore e poi di euforia da parte di chi scambia una rondine per la primavera. Il Mezzogiorno è cresciuto, più del Centro Nord e più di quanto ci si aspettasse, ma nessuno pensi che siamo di fronte ad un’inversione di tendenza e all’inizio di qualcosa di nuovo.

Concordo perciò con l’analisi di Sales sulle pagine di questo giornale quando dice che questo risultato inaspettato è più il frutto di combinazioni casuali piuttosto che di una strategia deliberata di politica economica e industriale. Perciò viene da chiedersi, certo in maniera ironica, se non è opportuno che la politica e le istituzioni nazionali e locali lascino fare al caso piuttosto che intervenire in maniera pasticciata e inconcludente come hanno fatto finora.
Del resto è sempre più evidente che quando parliamo di Mezzogiorno siamo di fronte ad un vero e proprio fallimento culturale e politico della classe dirigente nazionale e locale. Lo abbiamo detto tante volte, anche a costo di apparire qualunquisti, ma spesso la spiegazione più semplice e di pancia è anche quella più giusta. Il dramma accaduto sui binari delle Ferrovie del Nord Barese è la dimostrazione lampante che, da anni, il problema del Mezzogiorno non è più una questione di risorse e di fondi, ma solo di incuria, di superficialità e di lassismo. In quel caso i soldi c’erano, sia per il raddoppio che per la sicurezza, eppure non sono stati spesi. Come al solito si è già scatenato il rimpallo delle responsabilità tra i soggetti coinvolti e, se va bene, per quel dramma pagheranno soltanto i responsabili diretti che poi sono anche i “pesci” più piccoli.

In questi anni, senza che ce ne accorgessimo, qualcosa è successo. Il Nord del paese ha deciso che per salvarsi deve pensare a se stesso e piuttosto che investire sul Mezzogiorno, come avvenuto negli anni del dopoguerra, ha deciso di concentrare le sue risorse per costruire nuove interconnessioni con il resto d’Europa e del mondo. Lo sta facendo con le infrastrutture materiali e immateriali, con il suo sistema produttivo e il suo sistema di welfare. Vanno in questa direzione l’Expo di Milano e tutto quello che ne seguirà come lo Human Technopole e la città della scienza, la riconversione di Torino da città industriale di stampo fordista a città dell’innovazione e delle startup, la rete di strutture sanitarie di eccellenza e di avanguardia sostenute da capitali privati oltre che pubblici, la creazione di un unico sistema aeroportuale lombardo che mette insieme Linate, Malpensa e Bergamo, le università e i politecnici lombardi e piemontesi che occupano stabilmente i primi posti nelle classifiche di qualità scientifica e accademica, le istituzioni culturali che riescono a sostenersi economicamente senza il bisogno di risorse pubbliche.
Mentre al Nord avviene questo, pensiamo invece a quello che è avvenuto qui, nel Mezzogiorno, negli ultimi dieci anni. Continue restrizioni nei sistemi di welfare, aumento del divario nei sistemi scolastici e universitari, progressiva scomparsa dell’industria, poche opere infrastrutturali strategiche, un sistema della cultura che vive esclusivamente di sovvenzioni pubbliche.
Resistono l’agricoltura e il turismo, che infatti hanno contribuito alla crescita del 2015, sia per la positiva congiuntura internazionale, sia perché sono tra i pochi settori in cui gli imprenditori privati hanno saputo approfittare delle opportunità che si sono create in maniera esogena e non premeditata.

Dinanzi a tutto questo, qualcuno, periodicamente, invoca l’intervento salvifico dei mitici fondi strutturali. Ebbene, da quando esistono non hanno mai contribuito a ridurre il divario tra Mezzogiorno e resto d’Europa benché sia il loro obiettivo primario e statutario (non a caso ci chiamiamo Regioni della Convergenza). Non hanno potuto e non possono farlo perché sono stati pensati male ed eseguiti peggio. Se ce ne fosse bisogno basta rileggersi l’ultimo rapporto di Banca d’Italia proprio sulla Puglia e sulla sua incapacità non di impegnare le risorse, che su quello siamo anche bravini, ma di spenderle effettivamente e in modo efficace. Più che contribuire allo sviluppo, finora questi fondi hanno beneficiato maggiormente chi se ne occupa, cioè le tecnocrazie regionali e nazionali, un pezzo del mondo delle professioni (i cosiddetti consulenti) e i faccendieri. Ne è risultato l’emergere di quello che io chiamo il “Governo del Sottosviluppo” che proprio nel divario economico trova la sua legittimazione politica e sociale oltre che la sua fortuna finanziaria (del resto se il Mezzogiorno progredisse i fondi strutturali si ridurrebbero e questi soggetti dovrebbero trovarsi un nuovo lavoro).
Quanto bisogna aspettare ancora perché i meridionali prendano coscienza di tutto questo e si sviluppi un moto costruttivo di ribellione e di riscatto? Non illudiamoci sul 2015, faremmo solo il gioco di una classe dirigente locale squalificata che cerca di prendersi meriti che non ha.
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