Torino stregata da una pianista salentina

di Luca BANDIRALI
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Giovedì 22 Settembre 2016, 12:53
Il solitamente compassato pubblico del Teatro Regio di Torino non lascia neanche che l’ultima eco del tonitruante finale del “Concerto per pianoforte e orchestra in La minore, op. 54” di Schumann si dissolva nell’aria: vuole applaudire subito, alzarsi in piedi, avvicinarsi idealmente al palco. Molti spettatori urlano, chiamando l’artista cui stanno tributando un omaggio di inusitato calore.

Lei, Beatrice Rana, 23 anni, concede un bis e siede al pianoforte per un’esecuzione assai sbrigliata del “Lied Widmung” dello stesso autore, trascritto da Liszt nel 1848. Ora il pubblico diventa davvero incontenibile. Ad osservarla, un compiaciuto Riccardo Chailly, uno dei più importanti direttori d’orchestra del mondo, che ha appena diretto la performance di Beatrice Rana con la Filarmonica della Scala. In diretta sul terzo canale della radio di Stato, anche i misuratissimi conduttori si abbandonano agli elogi, per non parlare degli ascoltatori. La intervistano a caldo, e le sue scelte lessicali si imbevono dell’entusiasmo generale: “Quello di Schumann è un concerto tridimensionale”, dice, “con una marea di dettagli e di emozioni estemporanee”.

Siamo senza dubbio di fronte a un momento di ebbrezza collettiva sollecitata dal gesto interpretativo di un’artista di talento non comune, la cui evoluzione avviene in pubblico, scrivendo il proprio romanzo di formazione davanti a tutti. Di questo Bildungsroman, il “Concerto” di Schumann eseguito martedì a Torino è un capitolo spettacolare e perfetto. Apprezzata dai musicologi, la composizione di Schumann è amatissima dai pianisti perché offre ampie possibilità espressive strettamente individuali. Proprio in questi termini Beatrice Rana sbaraglia i coetanei, si passi l’espressione da giornalismo sportivo, suggerita dal clima del Teatro Regio: se si confronta l’esecuzione della pianista di Copertino con quella di Jan Lisiecki (classe 1995) diretta da Antonio Pappano, si capisce bene di cosa stiamo parlando. Fin dal primo movimento, Beatrice Rana intensifica e a tratti esaspera la dinamica musicale del “Concerto”, laddove Lisiecki la riduce in un contegno trattenuto da un malinteso senso di esattezza che infine sfocia in una inopinata medietà. Ma l’esattezza di un compositore romantico sull’orlo della follia è proprio nell’esaltazione dell’intensità, e qui la pianista salentina allestisce un vero e proprio teatro delle emozioni, adattissimo alla “tridimensionalità” del concerto stesso: la struttura non contrappuntistica, che si potrebbe definire di impianto dialogico o meglio ancora conversazionale, trova nella pianista un’interlocutrice di rara sensibilità, lo si coglie negli arpeggi liquidi del primo movimento, quando la massa del “Concerto” improvvisamente si svuota.

Interpretare la dinamica non vuol dire dunque necessariamente aggiungere, ma a volte, al contrario, smorzare, come allontanandosi dall’orecchio per non defatigarlo. All’estremo opposto, c’è senz’altro una memoria di Martha Argerich nelle impennate più selvagge del “Concerto”, anche la rivista inglese Gramophone l’ha definita “fierce” (feroce nel senso di impetuosa, proprio come la Argerich), ma la limpidezza di Beatrice Rana (ci uniamo al coro del pubblico del Regio) ci sembra personalissima, peculiare anche nei momenti di massima intensità. Dopo serate come questa, ci si chiede sempre quale segreto alchemico o mineralogico ci sia in un territorio che dona al mondo artiste come la pianista di Copertino, che ora per ragioni professionali vive ad Hannover, in un paese evidentemente più capace del nostro di valorizzare i musicisti di area colta.

 
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