Il Sud resta “questione meridionale”

di Egizio ZACHEO
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Mercoledì 24 Agosto 2016, 17:05
Il godimento di un breve periodo di vacanza non mi ha consentito di avere una informazione tempestiva sul dibattito avviato qualche giorno addietro dal denso e interessante articolo del direttore di Quotidiano. Per questo intervengo con ritardo sul tema sollevato.

Il direttore Scamardella e il professore Federico Pirro sembra che la pensino allo stesso modo circa la condizione della Puglia e del Mezzogiorno e le prospettive di una loro crescita. Non dello stesso parere è Marcello Favale che replicando subito all’articolo di Scamardella con argomenti solidi offre ai lettori una chiave di lettura molto diversa. La verità è che hanno ragione e torto entrambi, se così si può dire. A Favale si potrebbe rispondere che forse sottovaluta le enormi potenzialità di cui il Mezzogiorno è dotato. A Scamardella e Pirro, invece, che sottovalutano la presenza nel Sud di gravi ritardi storici e di problemi di convivenza civile che fanno del Mezzogiorno una ancora irrisolta grande questione nazionale. Davvero possiamo pensare che per colmare il suo divario il Sud debba essere lasciato a se stesso e contare sulle sue sole forze per uno sviluppo brado, senza regole generali, senza una politica meridionalistica nazionale?

Al di là dei dati economici, che, commentando il rapporto Svimez del 2015, fanno dire al Sole24 Ore «Il Mezzogiorno sempre più povero», vorrei sommessamente ricordare che stiamo parlando della situazione di più di un terzo del territorio nazionale, di quasi ventidue milioni di persone, di otto regioni su venti (senza contare il basso Lazio) molte delle quali controllate da una criminalità capace di una penetrazione perfino culturale. L’inchino della statua della Madonna davanti all’abitazione del capo clan, l’impossibilità in non pochi comuni di presentare liste per eleggere i consigli comunali, il degrado di una capitale come Napoli sempre più simile ad una città del Terzo Mondo e pressoché impossibile ormai da amministrare con i metodi normali della democrazia, non sono fatti simbolici, ma la dura stratificazione di una condizione storica determinata da uno sviluppo anomalo dell’intero Paese (su cui varrebbe la pena avviare una non banale riflessione di massa).
Anche la nostra Puglia non è purtroppo la penisola quasi felice descritta dal professore Pirro. Anche qui, prescindendo dagli aridi dati economici (meno lusinghieri di quanto ritenuto), la mongolfiera di Valenzano sponsorizzata dalla famiglia Buscemi è più di un semplice segnale d’allarme. Le faide violente e omicide della Capitanata parlano di un territorio che si controlla con difficoltà. Le Fornacelle a Bari in occasione della festa di San Nicola sono un piccolo fuoco che indicano però il rischio di un incendio. Perfino il Salento -la provincia di Lecce- non può abbassare la guardia.

Allora? Dobbiamo piangerci addosso? Certamente no: dobbiamo lavorare con il resto del Paese per darci una politica nazionale di sviluppo del Mezzogiorno. Per orientare le istituzioni nazionali verso un progetto di risanamento essendo il Mezzogiorno – come già detto - una grande questione nazionale e non locale, non territoriale, non geografica e non identitaria. Insomma, per sciogliere i nodi del Sud dobbiamo sciogliere i nodi dell’intero Paese che il Sud evidenzia in modo eminente. Il ritardo del Sud è soprattutto il ritardo dell’Italia nel suo complesso; è un ritardo che riguarda tutti: milanesi e palermitani.

È chiaro che dicendo questo non dico nulla di nuovo. Lo hanno già detto con autorevolezza altri; per esempio Francesco De Sanctis e Antonio Gramsci, le cui analisi sono molto lontane da ogni chiusura meridionalistica e molto vicine invece ai processi che riguardano la formazione della nostra coscienza nazionale. Ciò che entrambi hanno inteso segnalare è che la questione meridionale è frutto proprio della storia complessiva dell’Italia e che solo da una visione complessiva possono scaturire rimedi efficaci. E’ perciò riduttivo costringersi ad una lettura meridionalistica di fenomeni che, pur avendo una radice meridionale, in realtà riguardano la vita generale del Paese. L’”anomalia” rappresentata dal Mezzogiorno è l’anomalia che ha, sì, una sua specificità nel Sud ma che riguarda l’intero organismo nazionale, incapace di strutturare una adeguata convivenza civile.

Nessuno, perciò, ce la può fare da solo. Né il Sud senza il resto d’Italia né il Nord senza il Sud. Occorre saper fare sistema e mettere in relazione i governi territoriali con il governo centrale. Le peculiarità e i dinamismi periferici sono sterili se non vengono incastonati in un progetto nazionale. “Piccolo” sarà pure bello, ma è anche sicuramente perdente nel teatro della competizione globale. Le scelte microeconomiche per funzionare hanno necessariamente bisogno di lungimiranti scelte macroeconomiche. Di un Paese che si senta unito da un medesimo destino.
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