Oltre le Olimpiadi un Brasile sull'orlo del collasso

di Francesco FISTETTI
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Domenica 21 Agosto 2016, 21:44
Oggi si concludono i giochi olimpici di Rio de Janeiro, che hanno fruttato al nostro paese un nutrito medagliere, di cui essere orgogliosi. Una conferma, qualora ce ne fosse bisogno, che l’Italia ha delle grandi potenzialità in tutti i campi della creatività umana. Tuttavia, a dispetto della spettacolarità mediatica che i giochi olimpici hanno avuto a livello internazionale, non possiamo passare sotto silenzio la gravissima crisi economica e politica che il Brasile sta attraversando. Solo alcune e rare notizie sono trapelate circa la disorganizzazione e il clima d’insicurezza che hanno funestato i giochi: aggressioni criminali ai turisti e agli stessi partecipanti alle gare, conflitti a fuoco tra polizia e narcotrafficanti, agguati ai bus dei giornalisti, una serie di furti e di rapine a mano armata. Se l’episodio di cui sarebbero stati vittime Ryan Lochte e altri tre nuotatori americani si è rivelato una storia inventata, tuttavia la violenza nella città carioca di questi giorni è stata una realtà truculenta percepibile ad occhio nudo. Degli atleti cinesi, ad esempio, si sono trovati coinvolti in uno scontro a fuoco tra la polizia e i narcotrafficanti, perché il pullman era finito per sbaglio in una favela controllata da questi ultimi.

Incidenti come questo hanno richiesto scorte armate per i veicoli che transitano in tutta la regione. Ma è la situazione generale del Brasile che è preoccupante, poiché non è per nulla esagerato descriverla come sull’orlo del collasso sotto tutti i punti di vista. Anzitutto, dal punto di vista sanitario: Nancy Scheper-Hughes, professore di “Medical Antropology” presso la UC di Berkeley, attraverso il sito del “Center for Latin American Studies” ha lanciato l’allarme sul fatto che molte zone del Brasile, soprattutto quelle rurali del Nord-est, sono state colpite dall’epidemia della Zika-Chikungunya, una malattia mortale diffusa dalla puntura di zanzare infette. L’arrivo dell’epidemia ha coinciso, ha osservato la ricercatrice, con lo smantellamento nell’ottobre del 2015 del sistema sanitario brasiliano, il “Sistema unico de Saude” (https://clasberkeley.wordpress.com/2016/08/17/brazil-zika-chika/). Gli ospedali non hanno personale medico, né posti letto e attrezzature sufficienti per affrontare un’emergenza come questa che può sfociare in una tragedia immane, vale a dire nella decimazione delle popolazioni più povere e diseredate, comprese le classi medie, depauperate dalla distruzione sistematica di quel minimo di Stato sociale che era stato edificato dai governi di Lula e di Dilma Rousseff. Infatti, se teniamo conto che il Brasile è senza presidente, perché è in atto un procedimento di “impeachment” nei confronti della Rousseff, accusata dall’opposizione di aver falsificato i bilanci dello Stato, abbiamo un’idea più chiara dell’instabilità e del caos che stanno scuotendo il paese dalle fondamenta. Eppure, il Brasile sembrava non essere stata toccato dalla crisi dell’economia mondiale del 2008, anzi era diventato nel frattempo una delle potenze emergenti dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica).
Il “Lulismo”, cioè la politica di riforme socialdemocratiche avviata da Lula e proseguita da Dilma, aveva costruito le basi di uno Stato sociale molto esteso, mentre la scoperta di enormi giacimenti di petrolio nelle profondità oceaniche garantiva allo Stato risorse per l’avvenire. L’eliminazione della povertà era stato l’obiettivo prioritario di un programma strategico di protezione sociale che coniugava sviluppo economico, piena occupazione, inclusione sociale e diritti di cittadinanza. Come ha scritto il sociologo Frédéric Vandenberghe in un volume che uscirà a settembre in traduzione italiana, "sviluppo economico più riduzione delle diseguaglianze sociali mediante inclusione del popolo, ecco la sintesi del “Lulismo”". Questo progetto neo-sviluppista e redistributivo di ispirazione socialdemocratica si blocca quando con le rivolte di giugno del 2013 esplode un conflitto, destinato con il passare del tempo a diventare sempre più virulento, che rivela le crepe dello Stato sociale luliano. In verità, è l’illusione del modello imitativo di sviluppo industriale mutuato dall’Occidente che va in pezzi, dal momento che si era creduto che esso avrebbe continuato a funzionare all’infinito. Da un lato la qualità scadente dei servizi pubblici come la sanità, i trasporti e l’educazione provoca il malcontento delle masse popolari, dall’altro i nuovi ceti medi, che avevano riposto le loro speranze nella politica di Lula e di Dilma, si vedono esposti a vecchie e nuove povertà, perché non sono in grado di pagarsi gli stessi servizi nel settore privato. Le proteste che dilagano per tutto il 2013 e oltre sono portate avanti da un gran numero di movimenti sociali (Movimento Nero, Movimento dei senza tetto, Movimento delle donne, ecc) e sfuggono di mano al PT (Partito dei Lavoratori) di Lula e Dilma fino ad arrivare alla comparsa dei Black Blocks che seminano violenza e terrore.

Le proteste cambiano di segno quando assumono una connotazione integralmente "antipolitica" e prendono come bersaglio lo Stato, il partito dei lavoratori al governo (PT), il sistema dei partiti, Dilma, ma soprattutto la corruzione. È l’indignazione contro la corruzione imperante che alimenta una ribellione "antipolitica" che diviene risentimento e rabbia e dà luogo a manifestazioni in cui gli insulti contro Dilma e contro la democrazia parlamentare sono all’ordine del giorno. In questa crisi di legittimità delle autorità politiche e di governo s’inserisce l’onnipotente catena mediatica Globo (televisione, giornali, magazines), la cui proprietà fa capo a pochissime famiglie, la quale orchestra una campagna di stampo biecamente populista, cavalcando l’ondata giudiziaria degli arresti e delle incriminazioni per peculato, appropriazione indebita, tangenti che si abbatte sulla classe politica (una sorta di “Mani pulite” brasiliana, come viene battezzata dalla stampa). Il più grosso scandalo riguarda nel 2014 la compagnia petrolifera Petrobas, che coinvolge le maggiori imprese di costruzione e una quarantina di politici in appalti truccati che procurano a questi ultimi tangenti per milioni e milioni di reali. Dalle inchieste della magistratura emerge un mercato politico tra imprenditori e boss politici, che segnala quanto la democrazia brasiliana di Lula e Dilma, dopo decenni di dittatura militare, sia debole ed esposta alle bramosie di rivincita di un’oligarchia fatta di grandi proprietari terrieri, imprenditori d’assalto e alta finanza.

La corruzione, infatti, non è solo una piaga dei partiti di governo, ma di tutte le élites politiche rappresentate in parlamento. Basti pensare che dei 513 deputati della Camera ben 213 sono sotto inchiesta per corruzione, associazione a delinquere, riciclaggio di denaro sporco, esportazione illegale di capitali, ecc. Michel Temer, il vicepresidente della Camera che è subentrato alla Rousseff dopo la sospensione di quest’ultima dalla sua carica, è a sua volta sotto inchiesta per una serie di reati. Ciò che è avvenuto alla Camera quando si è trattato di votare per l’impeachment di Dilma fa pensare più ad un circo che ad una severa aula parlamentare: schiamazzi, sputi, ingiurie, sventolio di pupazzi, ecc. Questo versante oscuro della democrazia brasiliana, che molto verosimilmente sta vivendo un "colpo di Stato" strisciante che sta conducendo questo paese nelle terre brumose della "postdemocrazia", è sfuggito all’attenzione di noi europei. Ma è bene tenerlo ben presente, perché, come diceva Esopo, "De te fabula narratur" (il racconto riguarda anche te).

 
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