Litigation strategy: minori e legge, così il diritto segue i princìpi

Litigation strategy: minori e legge, così il diritto segue i princìpi
di Roberto TANISI
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Lunedì 13 Marzo 2017, 16:17
La cronaca di questi giorni vede alla ribalta due sentenze, su casi apparentemente simili, accomunati da quella che in dottrina viene definita “Litigation strategy”, ossia il ricorso al giudice finalizzato al riconoscimento di “nuovi diritti”, di diritti non tutelati, almeno apparentemente, dall’Ordinamento giuridico: nella specie il diritto alla genitorialità delle coppie omosessuali. Mi riferisco alle sentenze emesse dalla Corte d’Appello di Trento e dal Tribunale per i minorenni di Firenze. Non si tratta dei primi provvedimenti giurisdizionali in questo delicato settore: vanno rammentate, infatti, numerose Sentenze di alcuni Tribunali per i minorenni (Torino, Roma, Firenze, solo per ricordarne qualcuno) che, negli ultimi mesi, hanno riconosciuto il diritto alla c.d. “stepchild adoption” (adozione del figlio naturale del proprio/a compagno/a).

Ma nelle due sentenze in commento si è andati oltre. Difatti, con la prima, la Corte trentina ha riconosciuto efficacia nel nostro Ordinamento ad un provvedimento giudiziario straniero, che aveva riconosciuto la paternità di due gemelli al coniuge del padre biologico degli stessi. I due bambini, infatti, erano nati in Canada grazie alla tecnica della maternità surrogata, con utilizzazione del liquido seminale di uno dei due partner. Con la seconda sentenza il Tribunale per i minorenni di Firenze ha riconosciuto validità nel nostro Ordinamento ad una sentenza emessa da un Tribunale inglese (contea di Londra) con la quale due cittadini italiani, aventi anche cittadinanza statunitense, si erano visti riconoscere il diritto all’adozione di una bambina: in pratica la coppia omosessuale, residente in Inghilterra, perfezionato l’iter processuale previsto dalla legge inglese ed ottenuta in adozione la bimba, trascorso un biennio ha chiesto al giudice italiano la trascrizione della sentenza inglese nei registri dello stato civile italiano, ad ogni effetto di legge. Il Tribunale fiorentino ha accolto tale richiesta.
Nei confronti di queste sentenze, come sovente accade, accanto a manifestazioni di consenso, si sono appuntate critiche feroci, al limite della delegittimazione, non solo per i giudici che le hanno pronunciate, ma verso la magistratura tout court, accusata, more solito, di “supplenza”, di fare “giurisprudenza creativa”, di pronunciare “sentenze ideologiche e giacobine”, e via di questo andazzo.

Dubito, peraltro, che gli autori di queste accuse abbiano letto il teste delle sentenze così ferocemente criticate.
Nel caso portato all’esame della Corte trentina, i Giudici hanno accolta la richiesta dei due genitori, entrambi di sesso maschile, di trascrizione della sentenza straniera - denegata dall’Ufficiale di stato civile perché reputata contraria all’ordine pubblico interno - sulla base di un diverso concetto di ordine pubblico, già fatto proprio dalla Cotte di Cassazione (sentenza n. 19599 del 2016), radicato “in quei principi supremi, relativi ai diritti fondamentali della persona, contenuti nella Costituzione o in norme sovranazionali di pari grado” (quali quelli della Convenzione Europea per i diritti dell’Uomo), i quali non potrebbero comunque “essere sovvertiti dal legislatore ordinario”; in forza di ciò si è escluso che la “contrarietà all’ordine pubblico” possa derivare dalla incompatibilità della fattispecie con norme interne, pur provenienti da leggi ordinarie, posto che esse rappresentano solo “una delle possibili modalità di espressione della discrezionalità del legislatore ordinario in un dato momento storico”.

In tale, nuovo, concetto di “ordine pubblico sovraordinato” la Corte trentina, sulla scia del richiamato indirizzo giurisprudenziale di legittimità, ha ricompreso la tutela dell’interesse superiore del minore, ravvisato, nella fattispecie, nel diritto alla conservazione dello status di figlio, riconosciuto in un atto validamente formato in un altro Stato. Né, secondo i giudici, costituisce ostacolo alla trascrizione il fatto che i due gemelli siano nati grazie alla pratica della “maternità surrogata”, non consentita dalla legge italiana, dal momento che tale pratica è stata ritenuta compatibile con l’art. 8 C.E.D.U. dalla Grande Camera (Sentenza 24.1.7 nel caso Paradiso e Campanelli contro Italia), non essendovi lesione della vita privata e familiare e dovendo reputarsi primario e prevalente l’interesse dei minori alla stabilità dei legami affettivi concretamente instaurati e consolidati nel tempo.

Analogamente, nel caso giudicato dal Tribunale minorile di Firenze, è stata reputata trascrivibile nei registri dello stato civile la sentenza di adozione di una bambina, emessa da un giudice inglese, in favore di due uomini, entrambi cittadini italiani, da anni residenti in Inghilterra. Ciò sulla base della legge (italiana) n. 184/83 (disciplinante le adozioni), secondo cui è valida anche in Italia un’adozione avvenuta in un Paese straniero da parte di cittadini italiani che dimostrino di avervi soggiornato continuativamente e di avervi la residenza da almeno due anni, purché essa risulti conforme ai principi della Convenzione dell’Aia 20.5.93 sulla protezione dei minori. Tale convenzione, secondo i giudici, non pone limiti allo status di genitori adottivi – e, dunque, non esclude di per sé le coppie omosessuali – ma richiede solo di verificare se i genitori adottivi siano qualificati ed idonei (esame svolto positivamente dall’autorità giudiziaria straniera) e che la trascrizione non sia, anche in questo caso, contraria ai principi dell’ordine pubblico (inteso, ovviamente, nel senso sopra specificato di ordine pubblico sovraordinato, ancorato ai principi costituzionali e della Convenzione E.D.U.). Una sentenza, quest’ultima, che sembrerebbe poter aprire uno spiraglio anche alle adozioni da parte dei single, fino ad oggi denegate, salvo il caso di “adozioni in casi particolari”.

Come si vede si tratta di provvedimenti diffusamente motivati, ancorati a precise disposizioni normative nazionali ed internazionali, certamente non frutto di quella che un tempo si definiva “equità cerebrina” del giudice, assolutamente discrezionale. Provvedimenti verso i quali possono indubbiamente essere mosse tutte le critiche (argomentate) di questo mondo, ma che non possono essere liquidati come provvedimenti ideologici e giacobini, frutto del retroterra culturale che vorrebbe la magistratura sempre più orientata a fare “politica” con le proprie sentenze. Meglio sarebbe, invece, riflettere sull’acuta – e condivisibile – analisi di Nicolò Lipari sul nuovo modo di porsi della riflessione giuridica rispetto al diritto e al concetto di legalità: “La nostra cultura giuridica, condizionata dai modelli del positivismo, non ha ancora seriamente metabolizzato il processo di costituzionalizzazione del diritto, che sposta il profilo dell’antigiuridicicità sul piano della contraddittorietà non a regole ma a principî. Se si esce dai paradigmi di stampo positivistico un tale atteggiamento non deve scandalizzare, posto che, come è stato giustamente osservato, determinare l’indeterminato è una caratteristica della funzione giudiziale”.
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