Visionari e giovani salveranno i popoli del Mediterraneo

di Chiara MONTEFRANCESCO
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Mercoledì 17 Agosto 2016, 17:08
Si direbbe che la sensibilità, quella che rimanda al cuore delle cose e consente di comprenderle nella loro essenza, appartenga ormai a qualche visionario sopravvissuto al contagio dilagante del cinismo e a quei giovani che riescono ancora a vivere in comunità le loro emozioni più profonde e che li mettono in sintonia con le sofferenze, ma anche con le speranze del mondo.Visionari come Gino Strada ed Emma Bonino, i tanti protagonisti di Emergency e di Medici senza frontiere e delle tante Onlus in giro per l'Africa, i tanti religiosi e religiose, infaticabili, che in solitudine o con il supporto delle loro comunità ecclesiali o della Charitas, ogni giorno cercano di dare una speranza alle vittime di violenze gratuite quanto inaudite ed a tutti i diseredati di una globalizzazione mistificante che impoverisce il mondo, priva gli uomini (tutti gli uomini) della dignità e depreda, senza remora alcuna, il Continente Africano. È stridente il contrasto tra l'attuale globalizzazione e la prima grande globalizzazione costruita da Roma in tutto il mondo che sul Mediterraneo convergeva. Tanto  includente e rispettosa dei diritti, delle civiltà e culture dei popoli la globalizzazione romana, quanto prevaricatrice e negatrice di ogni identità individuale e collettiva quella attuale (illuminante, su questo argomento, l'intervento del filosofo Aldo Masullo sul Quotidiano del 4 agosto scorso).
Accanto ai visionari caparbi e cocciuti e orgogliosamente laici, atei o agnostici, tanti giovani, ragazzi e ragazze attenti al messaggio evangelico,  rispondono puntualmente nel Mezzogiorno d'Italia agli appelli della Chiesa illuminata e dei suoi pastori che, a dispetto della dilagante pseudocultura dominante, continuano a pensare che la storia del mondo è una storia di pace e migrazioni, di integrazione e contaminazione. Di accoglienza. Non è estraneo (seppur non dichiarato) all'impegno di visionari, filantropi, missionari, religiosi, giovani, l'obiettivo (o almeno la speranza) di invertire il destino di povertà e/o di violenza dell'Africa sahariana e dell'area a cavallo tra Africa orientale e Asia mediorientale che si affacciano, tutte, sul Mediterraneo. Anzi sempre più coscientemente, e diffusamente, riemerge, magari solo a livello di percezione dell'intuito piuttosto che della ragione, il grande ruolo unificante ricoperto dal Mediterraneo nel lungo e faticoso percorso della storia e della civiltà del mondo. Il Mediterraneo lo riconosci ovunque tu vada, come scrive Pedrag Matvejevic (Breviario Mediterraneo), dalla Provence al Montenegro, dalla Sicilia o Puglia, dalla Campania o Calabria al Golfo della Sirte, al Marocco o Algeria o Tunisia, dalla Grecia o dalla Spagna alla Turchia al Medio Oriente. Dall'Adriatico allo Jonio, dal Tirreno all'Egeo, dall'Africa all'Europa, all'Asia e al Medio Oriente. È storicamente e culturalmente incomprensibile che un mare di Popoli e di civiltà integrate, da sempre percorso da migrazioni condivise e sovrapposte, possa oggi continuare a misconoscere la sua storia ed a sprecare il suo futuro sull'altare di miopi e cinici interessi di pochi.
Sì, perché il Mediterraneo è una grande area dalle formidabili potenzialità economiche oltre che culturali e di civiltà. Il Mezzogiorno d'Italia e le sue regioni, è inutile tacerlo, saranno quello che sarà il Mediterraneo. Nel bene e nel male. Vi è un motivo profondo (non sufficientemente analizzato) che sottosta alla incapacità del Mezzogiorno di vincere il suo sottosviluppo. Esso riguarda lo strabismo a cui la sua economia è costretta nell'inseguire modelli e mercati centro-nord europei ed americani in assenza di possibilità concrete di integrarsi nell'economia del Mediterraneo. In realtà il Mediterraneo rimane uno spazio solcato da sottosviluppo, da sopraffazione, da faide interne e guerre eterodirette. Il Mediterraneo è, oggi, uno spazio tradito. Tradito prima di tutto da quei Paesi Europei che nel Mediterraneo, da sempre, hanno avuto la loro proiezione economica, sociale, culturale e che oggi al Mediterraneo hanno girato le spalle.
Il fascino dell'Europa anglosassone con la sua presunta efficienza, ha contagiato questi Paesi. Eppure, già da diversi decenni analisti e studiosi e centri di ricerca, hanno richiamato l'attenzione sul grande potenziale di sviluppo del Mediterraneo. Il Mediterraneo, tutto il Mediterraneo, in assenza di una decisa inversione di marcia,  si prepara ad essere una placa unica di sottosviluppo funzionale alle economie cosiddette forti. E allora? Nel 1995 l'Europa, intelligente e conscia dei suoi limiti, il Nord Africa, sfruttato e consapevole, ed il Medio Oriente, ricco e flagellato, diedero avvio ad un grande processo di integrazione euro-mediterraneo. La dichiarazione di Barcellona fu il risultato di quel processo. Tre obiettivi vennero fissati. L'obiettivo politico che fissava la stabilità e la sicurezza del Mediterraneo. L'obiettivo economico che fissava lo sviluppo di un'area unica economicamente integrata capace di favorire il benessere generale dell'area mediterranea senza popoli di serie A e di serie B o addirittura di serie C. L'obiettivo culturale che perseguiva il rispetto e la promozione reciproca delle culture mediterranee con particolare riguardo ai diritti civili e politici.
Al Sorrento Meeting, sui Mezzogiorni d'Europa ed il Mediterraneo, di due anni fa l'ambasciatore del Marocco, Hassan Abouyoub, uno degli estensori della Dichiarazione di Barcellona, anch'egli uno degli ultimi visionari mediterranei, incentrò il suo accorato intervento di apertura dei lavori, affermando che l'Europa, l'Europa Mediterranea, deve tornare allo spirito di Barcellona se vuole riprendere la strada virtuosa della pace, della coesione e dello sviluppo ed esorcizzare le derive violente che sempre più l'avrebbero attraversata. Ecco è davvero tempo di tornare a quello spirito. In questi giorni a Santa Maria di Leuca i giovani del Mediterraneo, su iniziativa  della Chiesa Locale, si ritrovano per riscoprire i motivi di una storia e di una cultura oltre che di una civiltà comune. Anche la Chiesa Calabrese e le comunità intellettuali e scientifiche napoletane e siciliane già da tempo hanno avviato iniziative di dialogo sociale e culturale con i popoli del Mediterraneo alla riscoperta delle comuni radici. Ancora una volta visionari, giovani, intellettuali e religiosi indicano la strada giusta. Ormai l'unica a nostra disposizione. L'augurio è che se ne convincano anche i Governi.
 
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