La musica nasce dalle periferie: il messaggio forte lanciato dal Locomotive jazz

di Stefano CRISTANTE
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Giovedì 13 Luglio 2017, 12:37 - Ultimo aggiornamento: 16 Luglio, 20:31
Il claim del Locomotive Jazz Festival pronto a partire domani sera è un’affermazione coraggiosa e molto chiara: “La musica nasce dalle periferie”. Di solito ai consumatori di musica importano i nomi degli artisti che si esibiscono, che accendono la speranza di partecipare a qualcosa di piacevole, di irripetibile e di memorabile. I titoli hanno quindi di solito scarsa presa, oppure non ci sono affatto, sostituiti dal numero dell’edizione del festival. Il Locomotive ha fatto una scelta diversa, collocando il titolo in posizione centrale in tutta la propria comunicazione, dai dépliant ai post sui social network alle inserzioni nei giornali.
“La musica nasce dalle periferie” è un’asserzione che mi suggerisce tre riflessioni, che cercherò di illustrare brevemente. La prima: periferia va intesa dal punto di vista globale. La musica, espressione culturale per eccellenza, non proviene più dai templi europei della prima modernità e dalle capitali dell’Occidente, quanto da luoghi decentrati e in gran parte imprevisti, cioè non considerati prioritari dall’industriale culturale e musicale mondiale.
L’Europa e gli Stati Uniti sembrano incapaci di mantenere un’effettiva egemonia musicale attraverso un tipo di musica che – solo per necessità di sintesi – chiamiamo rock e/o pop, e che ha avuto il proprio apice tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso. Una enorme quantità di apporti è invece venuto da luoghi come l’India e il Maghreb, la Nigeria e il Messico, Cuba e tanti altri. L’industria culturale, da tempo dotata di cercatori di talenti (trend-setter), passa al setaccio ciò che accade in luoghi decentrati, con l’obiettivo di inserire nuova linfa nelle produzioni attraverso le novità offerte dal cosiddetto Sud del mondo. Ciò serve però anche a far uscire gli artisti delle periferie dall’anonimato internazionale, e a portarli a conoscenza di un pubblico che ama partecipare alle serate dal vivo.
La seconda strada interpretativa guarda al concetto di periferia urbana, e non globale. Si mette così in evidenza che, in tutte le metropoli, esiste un centro ed esistono una o più periferie. E che le periferie urbane rappresentano, sul territorio municipale, l’equivalente delle periferie del mondo rispetto ai suoi centri globalizzati (finanziari, economici, culturali). In più, in Italia disponiamo da tempo di un’altra cornice di senso, determinata dal rapporto squilibrato tra Nord e Sud e fissata da Gramsci come (irrisolta) “questione meridionale”. Dire che la musica nasce dalle periferie significa assumere il fatto che nel Mezzogiorno l’espressione culturale è cresciuta moltissimo negli ultimi anni, sia in quantità (giovani artisti), sia in qualità (opere artistiche di valore). E sia, naturalmente, nel confronto con le altre zone d’Italia.
Il Salento stesso dimostra questa tesi, sia come grembo per talenti, sia come inventore di una sintesi tra le tradizioni popolari e la modernità, attraverso ricerche ed eventi. Il Salento è un tipo di Sud che può fare della propria marginalità geografica – della propria natura estrema – un aggregatore di risorse e di interessi. Diversificare l’offerta musicale è dunque essenziale se si vuole dimostrare che la musica nasce dalle periferie: il festival diretto da Raffele Casarano svolge bene il proprio compito, e così il suo programma, che prevede nomi di musicisti che arrivano da molte diverse periferie del pianeta.
Infine, scendiamo ancor più nel dettaglio: siamo a Lecce, una città che è percepita mediaticamente solo attraverso la notorietà del suo centro storico. La verità è che quasi la metà dei residenti leccesi vive in periferia, e moltissimi tra questi nelle 167, numero che ricorda una legge del 1962, con cui la nuova edilizia popolare si presentò in Italia e anche nel Salento. Pensare a una popolazione di più di trentamila abitanti che può contare su una sola farmacia è sorprendente e tragico. Osservare la desertificazione culturale di quei quartieri, dove la vita sociale non sembra esistere e dove tutto si svolge all’interno delle mura domestiche, è triste e fa rabbia. Rispetto ad altre periferie urbane italiane, quella leccese non ha dovuto assistere a una totale deturpazione ambientale. Tuttavia nei viali della 167 B, pur molto meno cupi di Scampia o di Corviale, ben pochi passeggiano e sembrano voler comunicare con gli altri. Il tessuto economico è fatto da salariati e impiegati che stanno fuori tutto il giorno, e che tornano a casa quasi solo per mangiare e dormire. "La musica nasce dalle periferie”  è un’affermazione che va fatta rimbalzare su molti altri tavoli. Credo sia il momento di passare dalla segnalazione di un problema a un’azione concertata e collettiva: bisogna aggredire il disagio, far partire attività, coinvolgere la popolazione, osare un ripopolamento culturale. Per fare questo occorre prima di tutto possedere un pensiero sulle periferie, e buttare giù luoghi comuni disastrosi. Nel Novecento furono le avanguardie artistiche e architettoniche a pensare la città dal punto di vista delle classi popolari, impiegando tecniche e talenti per fissare nell’innovazione un destino più felice per quella grande fetta di cittadini. Il potere politico ha invece in genere interpretato le periferie come zona del rimosso urbano sottoproletario e dell’opacità amministrativa, cui negare sicurezza nei trasporti (e così dunque isolandone i residenti) e destinare risorse scarse da far gestire a nuclei di interesse come si trattasse di sinecure o di un sistema di favori. Se condividiamo l’affermazione che “la musica nasce dalle periferie”, bisogna mutuarne il significato in altri ambiti decisivi della vita sociale. Senza periferie in movimento, non c’è vero cambiamento in una città. È un messaggio che dal Locomotive arriva a tutti gli artisti e gli operatori culturali del Salento, ma riguarda anche e forse soprattutto le istituzioni e la politica.
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