Lecce, Brindisi e Taranto: radici e futuro sono intrecciati

di Fabio CAFFIO*
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Martedì 16 Febbraio 2016, 18:59
Nella polemica a tratti rovente che oppone Lecce a Taranto sul trasferimento della Soprintendenza archeologica sembra di cogliere una sorta di visione neoborbonica del Salento. Quasi Lecce pensasse di tornare ad essere, dopo 156 anni dalla fine delle Due Sicilie, il capoluogo della Terra d'Otranto. In realtà Lecce ha tutti i titoli per nutrire simili ambizioni, avendo seguito negli anni un personale modello di sviluppo endogeno teso a valorizzare le eccellenze del suo territorio: il Salento appunto.

Al tempo dei Borboni, quando Taranto era un semplice Distretto dell'Intendenza di Lecce (gli altri Distretti erano Mesagne - sostituito nel 1811 da Brindisi- e Gallipoli), le potenzialità marittime della Città Bimare erano state valorizzate affidandole la giurisdizione sul litorale jonico-salentino (e della Basilicata) e garantendole abbondanza di pesca nel Mar Grande e nel Mar Piccolo con la creazione di una sorta di nursery nell'area del Banco di Amendolara del Golfo di Taranto. Poi, nel 1865, all'Intendenza di Terra d'Otranto, subentrò la Provincia di Lecce, con le stesse zone di giurisdizione borboniche. Anche allora, non vi erano stati ostacoli a che Taranto - molto prima di essere eretta a Provincia nel 1923 - divenisse sede di Soprintendenza archeologica grazie all'opera illuminata del salentino Luigi Viola. Il motivo semplice e incontestabile stava nel fatto che la Colonia Spartana, fondata da Greci venuti dal mare lungo antiche rotte tra Puglia e Peloponneso, aveva lasciato vestigia uniche influenzando la produzione artistica dell'intera regione e della costa occidentale del Golfo. Non a caso lo storico Anneo Floro con ammirazione ricordava che “Taranto, fondata dai Lacedemoni, in antico capitale della Calabria, di tutta la Puglia e della Lucania, nobile per grandezza delle mura e del porto e mirabile per la posizione, poichè è posta all'imboccatura del Mar Adriatico veleggia lungo tutto il litorale dell'Istria, dell'llirico, dell'Epiro, dell'Acaia, dell'Africa, della Sicilia” .

Ignorare tutto questo, negando sul piano burocratico la centralità dell'archeologia tarentina, sembra un grossolano tentativo di riscrittura della storia e della geografia. La prospettiva viene ora rovesciata inglobando ex lege Taranto nel Salento. In effetti Taranto rappresenta la punta nord-occidentale di una zona geografica le cui estremità sono Brindisi (geograficamente congiunta a Taranto dalla faglia dell'Istmo Messapico), Otranto, Leuca e Gallipoli. D'altronde era stato Strabone a precisare che mentre la Iapigia era tutta la penisola a sud dell'Istmo Messapico, “terra dei salentini” era invece la parte intorno a Capo Iapigio (l’odierno Capo Santa Maria di Leuca). Dunque, Taranto fa parte del Salento solo se ne accettiamo una nozione allargata e per così dire geopolitica. Ma se così è, Taranto rappresenta oltre che il faro magnogreco della civilizzazione della regione salentina, anche il perno della sua marittimità condividendo questo ruolo con Brindisi. In più Taranto, posta com'è sulla sommità del suo Golfo, è l'anello di congiunzione tra il Salento e le zone joniche di Basilicata e Calabria. Insomma, Taranto può collocarsi all'estremità nord-occidentale della Regione Jonico-Salentina.
Giustamente sulle pagine di questo giornale è stato ipotizzato di creare sinergie tra i porti di Taranto e Brindisi, distinti tra loro per funzioni ma uniti da interessi comuni. Un simile modello inclusivo è quello più rispettoso delle specificità del territorio. Perché allora non adottarlo per la Soprintendenza creando una gestione congiunta tra Taranto (competente per l'archeologia) e Lecce (competente per i beni architettonici ed il paesaggio)? D'altronde, non è Lecce la Capitale del Barocco e non è il Salento un'icona del paesaggio italiano?

La Fondazione Marittima Ammiraglio Michelagnoli, che da sempre è vicina a Taranto ed alla Marina Militare, vuole richiamare l'attenzione sul fatto che la Città dei due Mari è molto più di quello che la sua non felice condizione presente lascia intendere. Anche perché le antichità tarentine nascondono altri tesori, oltre a quelli del MarTa e del Castello Aragonese, entrambi tra i più visitati della Puglia. Come ad esempio l'Arsenale Militare Marittimo costruito 140 anni fa sulla riva del Mar Piccolo laddove esisteva il porto magnogreco: una realtà produttiva ancora pulsante per le esigenze della Squadra navale della Marina, ma anche un esempio di archeologia industriale ottocentesca la cui valorizzazione storico-culturale fa parte del "Contratto Istituzionale di Sviluppo per l'area Taranto (CIS-Taranto)" previsto e finanziato dalla legge 4 marzo 2015, n. 20.

La nuova legislazione varata per lo sviluppo ed il risanamento di Taranto ha disposto per lo Stabilimento da un lato di continuare nel migliorare la tradizionale produttività operativa e dall’altro di attuare la valorizzazione in chiave turistico-culturale di officine, macchinari, manufatti non più suscettibili di utilizzazione produttiva e che costituiscono un patrimonio di archeologia industriale che si pone a Taranto accanto al suo inestimabile patrimonio di archeologia classica.

Chi volesse documentarsi sul tema (su cui è competente già da ora la Soprintendenza dei Beni Architettonici di Lecce) può consultare gli atti del Convegno organizzato nel 2015 dalla Fondazione Michelagnoli, pubblicati nel libro La valorizzazione culturale e turistica dell’Arsenale di Taranto edito dalla stessa Fondazione.

*presidente Fondazione Ammiraglio Michelagnoli
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